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lunedì, agosto 29, 2005

31 luglio, dal 1962 giorno della donna africana

31 luglio, dal 1962 giorno della donna africana
Dal giudizio alla condivisione, il lento incontro con
le donne angolane
Laura Fantozzi
2 agosto 2005




31 luglio, giorno della donna africana. Una domenica
mattina in una piccola parrocchia a 10 km dal centro
di Luanda. Cielo grigio, rumori attutiti, traffico
sonnolente lungo le vie non asfaltate che contornano
la capitale. 31 luglio 2005, un alto capannone aperto,
oltre tremila donne angolane sedute su banchi di
legno, su sedie di plastica, accovacciate su colorati
foular, appoggiate sui rami bassi di alcuni alberi,
stese per terra. Un altare improvvisato, avvolto di
verde, giallo blu, stessi colori che rivestono parte
del capannone, che delineano forme di corpi, che si
infilano tra le trecce delle adolescenti, che
sorreggono neonati sulle spalle delle giovani mamme e
delle nonne. Stoffe che parlano d'Angola, ma che
vengono importate dall'Europa, dall'Asia, dagli Usa,
come la maggior parte dei prodotti utilizzati in
questa terra. Vuoi per una capacita produttiva
azzerata a causa della lunga guerra civile, vuoi per
accordi internazionali che vendono assieme al petrolio
anche il futuro di questa popolazione.


Chi sono, queste donne angolane, che incontro per
strada con le teste cariche di verdura, nei negozi
impegnate a rifarsi il trucco, nelle università
immerse nei libri, nelle cucine di casa rapite dalle
telenovels brasiliane, nelle baracche sdraiate su
vecchie lamiere, negli uffici, nei ministeri, sui
mezzi pubblici e ai mercati? Chi sono? Chi sono le
protagoniste dei rapporti del CEDAW (Convention on the
elimination of all forms of discriminations against
women) e del MINFAMU (ministEro angolano della
famiglia e delle donne=mulheres), che nell'ultimo
documento del 2004 parlano ancora di discriminazione
diffusa, ingente tasso di mortalita post parto (1850
donne decudute ogni 100.000 partorienti), tasso di
fertilita tra i piu alti del mondo (6.9), carenza di
scolarizzazione, (poco piu del 50% delle ragazze che
iniziano la scuola arriva al 7 livello, la nostra
seconda media, contro il 67% dei ragazzi), rapporti
che descrivono un Paese dove la poligamia e accettata,
anche se non ufficialmente e dove l AIDS miete ogni
anno piu vittime, sopratutto tra le giovani donne?


Chi sono, queste donne? Me lo sono chiesta a lungo,
cercando, nei primi mesi di vita nella capitale
angolana una via semplice per conoscerle, per capirle
facendomi a mia volta capire. Me lo sono chiesta a
lungo, ferma su un marciapiede, insoddisfatta, quasi
un po incattivita, certo sfiduciata. C e voluto molto,
per incontrarle. Incontrarci al di la dei nostri
ruoli, di lavoro, di amicizia, di reciproco aiuto.
Incontrarci come semplici donne. Ma, forse, non era un
problema loro, era un problema mio, che portavo il mio
modo di fare amicizia, il mio stile, il mi punto di
vista. E non vedevo nulla, nulla al di la delle mie
idee.


Avelina ha 45 anni, 10 figli, in realtà erano 12 ma
due sono morti nel loro primo anno di vita. Una vita
fatta di tende e fogne a cielo aperto, un pranzo al
giorno e acqua non trattata. Ngueve e una dei
responsabili del campo di deslocados di Viana,
migliaia di persone ammassate nelle tende da oltre
dieci anni, da quando, causa i massacri connessi alla
guerra, hanno dovuto abbandonare la propria casa, la
propria provincia, per rifugiarsi vicino alla
capitale.. <>>. Avelina Ngueve da Silva e'
arrivata dalla provincia di Bie 6 anni fa, si e
accampata con i deslocados di Viana, centinaia di
tende in piu nell accampamento che sin dal 1992
ospitava i profughi della provincia di Bengo.<< giango =" capanne">>.
Oltre il 70% dell accampamento e composto di donne;
vivono per lo piu con lavori salutari, malpagati, a
volte anche non pagati. Pochi gli uomini, molti
abituati a 'possedere' piu di una compagna. Spesso le
adolescenti vedono nella prostituzione l unica
opportunita per sfuggire ad un destino fatto di tende
e fame. <>>.
Avelina sembra una ragazzina, pelle senza rughe e
occhi sorridenti. L ho incontrata la prima volta un
sabato mattina, ore 8.00 in punto alla Caritas
angolana, io appena alzata, lei gia di ritorno dalla
radio locale, dove conduce un programma di formazione,
pronta per i gruppi parrocchiali del fine settimana.
Dove trovi l'energia di essere cosi, cosi pulita,
dentro e fuori, vivendo nella tenda, non lo so.

Quante di queste donne, queste donne che oggi, 31
luglio, hanno pregato intrecciando le mani, che hanno
danzato, che hanno sfilato con gli abiti tipici della
propria comunita', corpi pieni di energia nonostante
si fossero alzati alle 5 anche la domenica mattina,
quante di queste donne che mi sorridono sono orfane,
giovani madri, vedove, spose abbandonate, divorziate,
ammalate di un Aids che qui non perdona, un AIDS che e
stato uno dei primi regali di nozze?
Mangiamo tutti a terra, riunite per parrocchie, un
piatto di fungi ( la bianchissima polenta locale), con
un sugo di verdure e pesce. Bimbi che ti saltano al
collo, occhi spalancati davati ad uno zoom, cento mani
unte che si passano incerte la macchina fotografica -
chissa come si usa - abbracci, molti abbracci. Non
cerco piu risposte da questa giornata, le domande mi
paiono un impiccio superfluo, un modo per avvalorare
spiegazioni 'prefabbricate'. Mi limito a vivere, donna
tra le donne, mezza avvolta in una stoffa colorata.
Semplicemente vivere, forse e'l'unico modo per
iniziare a condividere qualcosa di vero.


Ma non c e solo la speranza. Mentre alcune donne
lottano, moltre altre decidono di mollare, di cercare
fortuna in un'altra provincia o in un altro stato,
senza figli, senza mariti, sole. Come ha fatto la
mamma di Careca, partita per il sud dell'Angola 10
anni fa e mai piu tornata. Forse il dolore per un
figlio mutilato all' etá di tre anni da un bomba che
ha distrutto la casa, (figlio 'fortunatissimo' perche'
ha vissuto a lungo in italia per le protesi e la
riabilitazione), forse un marito assente, forse la
violenza che tutti i giorni doveva affrontare nelle
periferie di Luanda l'hanno piegata, le hanno tolto la
speranza, o gliela hanno ridata, la somma desolazione
come punto di partenza per intraprendere una nuova
vita. Gli occhi di Careca si immergono tra le onde
dell'Atlantico mentre parla della mamma, steso sulla
sabbia, una domenica qualsiasi di questo freddo luglio
subsharaiano. Careca ha imparato a leggere e
scrivere, a giocare a calcio e a sciare (quando era in
Veneto!) tutto senza sua madre. E la sua mamma ha
imparato ad amare nuovi figli, un nuovo marito, ha
pianto nuove morti senza dimenticare pezzi di vita
lasciti nel nord dell'Angola. Un' esistenza fatta di
assenze, madri a cui mancano i figli, figli a cui
mancano le madri. Qualcuno mi dice che alla fine ci si
abitua. Che per sopravvivere queste donne si sono
dovute abituare. Tutto e diventato normale, bendare
gambe maciullate dalle mine, assistere neonati che
muoiono di malaria, gestire da sole famiglie immense,
con sei sette, dieci figli. Non riesco a crederci, che
tutto sia davvero normale per loro, che non possano
piu immaginare un'altra vita. O che la immaginino
considerandola "di un altro mondo" irraggiungibile.
Come forse effettivamente é. Non lo so.


Luanda, reparto pediatria, 5/6 luglio 2005(*). Un
giorno e mezzo e 15 neonati morti di diarrea, anemia e
problemi respiratori. 15 bimbi che al massimo avevano
2 giorni, due giorni passati in terra su vecchie
lenzuola, i letti mancano per tutti, per le
partorienti come per i nuovi nati.
Luanda, 22 luglio 2005 Victor, 24 anni, ormai mio
meccanico di fiducia, ha gli occhi gonfi di rabbia e
terrore. Sua sorella lo chiama disperata dall
ospedale, ha partorito ieri mattina e ancora non ha
visto il proprio figlio. <>> E come si fa, sapendo che solo una
settimana prima quasi tutti i nuovi nati sono
deceduti? <>> Mi impunto. Voglio
sbattere tutta questa rabbia in faccia ai colleghi
africani, perche non fanno nulla, non assediano l
ospedale e il ministero, chiedendo migliorie radiacali
almeno nella pediatria, nella maternita, nella
chirurgia, nella rianimazione. <>> Scende il gelo. Non apro piu bocca. Per
molte di queste donne, di questi malati, il pavimento
dell ospedale e piu sicuro del tugurio in cui da
sempre vivono. E racimolare i soldi per pagare la
guardia che blocca gli ingressi della clinica pubblica
e piu importante che protestare. Perche, nonostate
tutto entrare vuol dire avere una chance in piu di
sopravvivere.


Alcune donne lottano, altre perdono le forze e
scelgono vie piu semplici per il pane quotidiano.
Studentesse che distribuiscono numeri di cellulare all
aeroporto, tredicenni che si appoggiano lungo i muri
anneriti dei palazzi della capitale, mamme che
lasciano nei letti i neonati per guadagnare il latte e
la ricarica del cellulare, signore eleganti che si
svendono per un ballo, una cena e un giro in
barca...Tutto si mescola. La fame, quella vera, e la
fame, quella dell'anima. Fame di un abbraccio, di una
guida, di un appoggio. Non essere sole, ancora bimbe
ad affrontare tutte assieme le paure della vita.
Facile criticarle. Senza storia, o meglio con una
storia fatta di morte, dove trovi la speranza, i
modelli di vita, la capacita' o la possibilitá di
ascoltare e ascoltarti, di scegliere chi essere, che
farne dei tuoi anni a venire?



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31 LUGLIO, GIORNO DELLA DONNA AFRICANA
L Organizacao Panafricana das mulheres (OPM) nasce nel
1962 per riunire donne di tutti i 53 Starti Africani,
promuovendo scambi culturali ed economici e favorendo
l' integrazione e l' emancipazione del vasto universo
femminile del continente.
Gli obiettivi di OPM sono:
- Diffondere tra tutte le donne africane gli ideali di
pace, sviluppo, giustizia
- lavorare per l' effettivo coinvolgimento delle donne
nello sviluppo socio economico del continente africano
- rendere consapevoli le donne africane dei diritti
propri e delle proprie famiglie
- Supportare politiche nazionali e internazionali di
pace e cooperazione.



Note:


* <>>.( http://www.angolapress-angop.ao)

mercoledì, agosto 24, 2005

Ambrogio Fogar - una vita vissuta fino al limite

E' MORTO...
Ambrogio Fogar aveva 64 anni

Ambrogio Fogar nasce a Milano il 13 Agosto 19.

Ecco alcune sue parole...

"E' strano scoprire l'intensità che l'uomo ha nei confronti della voglia di vivere: basta una bolla d'aria rubata da una grotta ideale, sommersa dal mare, per dare la forza di continuare quella lotta basata su un solo nome: speranza". "Ecco, se leggendo queste pagine qualcuno sentirà la rinnovata voglia di sperare - si legge ancora - avrò assolto il mio impegno, e un altro momento di questa vita così affascinante, così travagliata e così punita si sarà compiuto. Una cosa è certa: nonostante le mie funzioni non siano più quelle di una volta, sono fiero di poter dire che sono ancora un uomo".