Cerca nel blog

venerdì, agosto 28, 2009

I sette segreti per vivere felici: Coraggio, finta bontà e pessimismo - Ecco la ricetta (quasi) infallibile per la felicità, almeno stando ai consigli dei sette psicologi interpellati da Hannah Booth

I consigli degli psicologi. «Non siete generosi e dolci? Recitate la parte»


Sette strategie per stare bene con se stessi e scoprirsi in armonia con il mondo. Ecco la ricetta (quasi) infallibile per la felicità, almeno stando ai consigli dei sette psicologi interpellati da Hannah Booth, giornalista del quotidiano britannico Guardian . Basta piangersi addosso, bisogna tirar fuori il coraggio e trovare una vocazione che vada oltre il proprio lavoro. Siate dolci, affettuosi e generosi o, almeno, immedesimatevi in queste emozioni proprio come un attore che si cala nella parte. E non disdegnate il pessimismo: aspettarsi il peggio aumenta le probabilità di raggiungere i propri obiettivi.

1. Siate positivi
Siate positivi, raccomanda Barbara Fredri­ckson, professoressa di psicologia all'uni­versità della Carolina del Nord. «Un atteg­giamento positivo vi rende più belli e più sani, perché favorisce l'abbassamento del­la pressione, minimizza il dolore, riduce l'incidenza delle malattie da raffreddamen­to, oltre a garantire una migliore qualità del sonno. Aumentate il numero di emozio­ni positive nell'arco della giornata, anche se effimere: una tira l'altra, come si suol di­re, e ben presto vi sentirete trascinare da una spirale ascendente di positività. Trova­te un momento di tempo per scoprire il la­to positivo in ogni situazione. Niente pia­gnistei ('Le mie storie finiscono sempre male'), né conclusioni avventate ('Non ce la farò mai a portare a termine questo pro­getto') e basta rimuginare senza sosta. Una qualsiasi distrazione salutare che possa ri­sollevarvi l'umore — una bella corsa o una nuotata — è sempre un'ottima scelta».

2. Siate ambiziosi
Siate coraggiosi, ammonisce Daniel Gilbert, professore di psicologia all'università di Har­vard. «Le ricerche dimostrano che siamo por­tati a rimpiangere le occasioni mancate mol­to di più delle azioni intraprese. Questo acca­de perché accettiamo più facilmente una mos­sa temeraria anziché un atteggiamento rinun­ciatario, e ci consoliamo ripensando all'inse­gnamento tratto dall'esperienza vissuta. Indu­giamo a soppesare le nostre possibilità quan­do invece dovremmo lanciarci in avanti. So­no infatti le minacce più temute alla nostra felicità — la perdita del lavoro o la fine di un matrimonio — a far scattare in noi le difese psicologiche (che favoriscono le sensazioni felici) molto di più rispetto ai fastidi da poco conto. La conseguenza paradossale è che tal­volta è più facile consolarsi per aver superato una situazione davvero drammatica che non una banale brutta esperienza. Eppure ben di rado siamo pronti a scegliere l'azione, e prefe­riamo optare per il nulla di fatto».

3. Rilassatevi e pensate
Meditate, dice Daniel Goleman, psicologo e scrittore del Massachusetts. «La meditazione ci aiuta a gestire più efficacemente la nostra reazione allo stress e a riprenderci più in fret­ta da eventi traumatizzanti. Qui sta la chiave della felicità. In una ricerca, alcune persone con incarichi di lavoro molto stressanti han­no seguito un corso di meditazione per otto settimane e al termine dell'esperimento han­no riferito di sentirsi più felici e di ricordarsi addirittura per quale motivo si appassionava­no al loro lavoro. Prima erano troppo stressa­te per rendersene conto. Anche i principianti possono trarre vantaggio dalla meditazione, ma ci vuol pratica. Ho trascorso una serata con Yongey Mingyur Rinpoche, il lama tibeta­no conosciuto come «l'uomo più felice della terra». Com'è arrivato a tanto? Con l'esercizio costante. Mi sono reso conto che si riprende­va rapidamente da contrasti e dissensi ed è su questa capacità di ripresa che la scienza cal­cola i parametri della felicità».

4. Fatevi del bene
Fatevi del bene, consiglia Paul Gilbert, professore di psicologia clinica all'univer­sità di Derby, in Gran Bretagna. «Dal mo­do in cui ci poniamo di fronte a noi stessi — adottando un atteggiamento benevolo o severo — dipende in larga misura il no­stro benessere, il senso di appagamento e la capacità di far fronte alle difficoltà. Se vi rimproverate qualcosa, fermatevi un attimo, respirate profondamente, ral­lentate i vostri ritmi e cercate di pensare alle vostre qualità migliori, come la gene­rosità, l'affetto, la dolcezza. Non importa che siate davvero dolci, affettuosi o gene­rosi, l'essenziale è che sappiate anche voi immedesimarvi in queste emozioni, co­me un attore che si cala nella parte». E conclude: «In un diario, annotate come si altera il vostro senso di autocritica quan­do eseguite questo esercizio. Solo allora rivolgete l'attenzione al problema da ri­solvere » .

5. Sfruttate i malumori
Sfruttate il pessimismo, propone Julie No­rem, professoressa di psicologia al Welle­sley College, nel Massachusetts. «I pessimi­sti stanno sulla difensiva e si aspettano sempre il peggio, sprecando preziose ener­gie mentali a figurarsi come potrebbero an­dar storte le cose. Ma nel far questo, hanno maggiori probabilità di raggiungere i loro obiettivi. È una tattica utile che raccoman­do a tutti. Immaginate che cosa possa an­dar di traverso in una situazione, studian­do accuratamente tutti i dettagli. Se vi sen­tite nervosi all'idea di parlare in pubblico, siate più specifici: che cosa vi spaventa, ar­meggiare con gli appunti o inciampare sui gradini del podio? Allora cercate immagina­re la tappa successiva: se lasciate cadere le carte, temete che qualcuno si metta a ride­re? Grazie a questa strategia, sarete in gra­do di spostare l'attenzione dalle emozioni ai fatti, e rifletterete su come evitare (o af­frontare) eventuali esiti negativi».

6. Trovate la vocazione
Trovate una vocazione, rilancia Jonathan Hai­dt, professore di psicologia all'università del­la Virginia. «Lavorate di meno, guadagnate di meno, accumulate di meno e dedicate invece più tempo alla famiglia, alle vacanze o altre attività gradevoli. Perseguite i vostri obiettivi ma ricordate: ciò che conta è il cammino, non il risultato. Se il lavoro che svolgete non ha nulla a che vedere con la vostra vocazione, perché non tentate di impostarlo in modo che vi appaia qualcosa di più di un semplice stipendio a fine mese? Se non ce la fate, cerca­tevi un impegno appagante al di fuori dell'am­bito lavorativo. In campo religioso, sociale o politico. Trovate attività che sappiano coin­volgere pienamente la vostra attenzione: can­tare in coro, dipingere, praticare sport. Solo così vi sentirete 'in sintonia' con voi stessi. Tutti abbiamo necessità di dare e ricevere amore, di impegnarci e di sentirci collegati a qualcosa di più grande di noi. Create le condi­zioni ideali e abbiate pazienza».

7. Coltivate l'ottimismo
Mostratevi felici, suggerisce Sonja Lyubo­mirsky, psicologa all'università della Cali­fornia. «Ho scoperto che il tasso di felicità lo possiamo influenzare attraverso il no­stro modo di agire e di pensare. Ho identi­ficato 12 attività che rendono felici, tutte cose che le persone appagate fanno sponta­neamente ». Eccole: esprimete la vostra ri­conoscenza; coltivate l'ottimismo; evitate ogni forma di ossessività per quello che fanno gli altri; siate cortesi, più del norma­le; trovate tempo per gli amici; sviluppate strategie per affrontare le difficoltà; impa­rate a perdonare; appassionatevi a qualche attività e siate pronti a esplorare nuovi orizzonti; gustatevi le gioie della vita; pun­tate sempre verso obiettivi importanti; col­tivate il senso religioso e la spiritualità. E in­fine, fare pratica.

© Guardian 2009 Traduzione di Rita Baldassarre
www.corriere.it/

Hannah Booth

Immigrazione 1900: "Quando i migranti eravamo noi italiani", E chi moriva lungo la traversata dell'Atlantico finiva nel mare, proprio come capita oggi... mostra fotografica

{B}"Quando i migranti eravamo noi"{/B}

Oggi, in Italia, si chiamano Centri di identificazione ed espulsione. All'inizio del '900, dall'altra parte dell'Oceano, li chiamavano Hotel degli emigranti, ma raccoglievano gli stessi disperati, spinti lontano alla ricerca di una vita nuova. Allora i migrati erano soprattutto italiani diretti nel sud America; cento anni dopo, sono africani in viaggio verso l'Italia ma le storie sono simili. E chi moriva lungo la traversata dell'Atlantico finiva nel mare, proprio come capita oggi.

http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/cronaca/anfibio-budelli/1.html

{B}"Quando i migranti eravamo noi"{/B}

{B}"Quando i migranti eravamo noi"{/B}

{B}"Quando i migranti eravamo noi"{/B}