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martedì, maggio 31, 2011

Illusioni pericolose: “Recedere dall’Unione Europea”, di Giuliano Amato

Il meglio del web – Vi porto ciò che trovo interessante in merito a questioni di politica nazionale ed internazionale. Sulla crisi greca c’è da dire che una delle migliori soluzioni è l’uscita della zona euro. Come andrà a finire nessuno lo può prevedere. Ecco questo bellissimo articolo di Giuliano Amato. Buona lettura!

Fui io a proporre quello che è oggi l'articolo 50 del Trattato dell'Unione Europea, l'articolo che consente agli Stati membri di recedere dalla stessa Unione. Ma quando lo pensai, e quando fu approvato, a nessuno venne in mente che potesse servire in occasione del fallimento finanziario di uno dei nostri Stati. Nessuno dice ora di volerlo.

Ma quando, tre giorni fa, la commissaria europea per la Pesca, la greca Maria Damanaki, ha detto che senza un accordo con i suoi creditori la presenza della Grecia nel mercato comune era in serio pericolo, abbiamo tutti capito che l'ipotesi del recesso è comunque entrata fra quelle a cui si pensa (tanto più che l'uscita dall'euro senza l'uscita dall'Unione non è legalmente possibile).
È un'ipotesi tutt'altro che facile da praticare, soprattutto non lo è con l'immediatezza che in genere caratterizza le risposte all'emergenza finanziaria. Basta leggere la procedura per rendersene conto. È una procedura di negoziato, intesa a sistemare le complesse partite di dare e di avere che si sono venute formando negli anni di comune permanenza nell'Unione, e per essa l'art.50 prevede un termine di ben due anni.

La realtà è che l'articolo fu scritto e voluto più come deterrente, che come norma destinata ad essere effettivamente applicata. Per anni la strategia ostruzionistica e di logoramento degli euroscettici di stampo britannico si era avvalsa dell'argomento «ci dite che l'appartenenza all'Unione è irreversibile, siamo dunque costretti a stare insieme e allora non potete imporci questo, non potete negarci quest'altro» e così via tirando permanentemente la corda. Bene, dice ora l'art.50, qui nessuno è tenuto a rimanere per forza e se ciò che per tutti gli altri va bene non va bene invece per qualcuno, la porta è lì e quel qualcuno può accomodarsi. Il vecchio ricatto, insomma, non è più possibile.

Eppure oggi di un recesso della Grecia si è cominciato a parlare, sia pure per escluderlo. E in un contesto spietato come quello dei mercati finanziari qualunque ipotesi venga messa sul tappeto diventa sempre uno scenario possibile, sul quale vengono misurate convenienze e del quale, se convenienze possono esserci, qualcuno cercherà di favorire l'avvento. Come siamo arrivati a questo punto nei confronti di un Paese che non è mai stato euroscettico e neppure "euro turbolento"?
Certo, si è scoperto due anni fa che i suoi conti erano truccati e che aveva abbondantemente violato il patto di stabilità, senza farlo trapelare. Ma da allora il Governo Papandreu si è impegnato in un robusto programma di restrizioni e di riforme per rimettere la Grecia in riga. Perché la Grecia è ora in ginocchio e sui mercati pochi credono che riesca a ripagare il suo debito e ci si aspetta invece il "default"? È l'asticella che le è stato chiesto di saltare che è troppo alta, oppure sono i greci che si rifiutano di saltarla e alimentano attorno a sé una crescente sfiducia? E a chi servirebbe l'eventuale e pur denegato recesso, agli stessi greci per sottrarsi a una condizione divenuta per loro insostenibile, o agli altri paesi dell'Eurozona, per amputare la parte infetta ed evitare il contagio?

Chi ha seguito l'evoluzione della vicenda greca sa perfettamente che le responsabilità del temuto disastro vanno ripartite equamente tra i soccorritori della Grecia e la Grecia stessa alle prese con le condizioni che essi le hanno imposto. Dei soccorritori in casi di emergenza si suole dire che "sono corsi" in aiuto di chi aveva bisogno di loro. Ecco, dei soccorritori della Grecia tutto si può dire tranne questo. E il tempo che l'Unione Europea ha fatto passare prima che soprattutto la Germania vincesse le sue interne ritrosie ha consentito ai tassi di interesse sul debito greco di raggiungere vette talmente elevate da rendere per ciò solo problematico un rientro inizialmente molto più praticabile.

Dall'altra parte gli impegni che George Papandreu ha dovuto prendere per il suo Paese erano essi stessi un'asticella troppo alta (in un solo anno avrebbe dovuto ridurre l'indebitamento di ben 7.5 punti) ed hanno per di più incontrato ogni sorta di ostacolo interno, dalla forte ostilità di diversi segmenti sociali, all'irresponsabilità dell'opposizione che l'ha alimentata, alla vera e propria renitenza di chi quegli impegni li doveva eseguire e in molti casi si è ben guardato dal farlo. La conclusione è che la Grecia ha oggi un debito troppo alto da pagare e una propensione troppo bassa a mettersi nella condizione di farlo.

I mercati sono ora in attesa e fanno capire non solo che il default della Grecia sarebbe destabilizzante per tutta l'Eurozona, ma anche che un eventuale allungamento delle scadenze per i titoli greci, specie per quelli in mani private, sarebbe ritenuto equivalente a un default. Ciò significa che a quel punto non sarebbe solo la Grecia a vedere precipitare il suo merito di credito.
In questo clima non è affatto impensabile che qualcuno si chieda: ma allora non sarebbe meno destabilizzante se la Grecia uscisse dall'Unione? Certo non finirebbe di soffrire, anzi con il ritorno alla dracma pagherebbe tutte le conseguenze di una prevedibile, forte inflazione. Ma almeno non sarebbe soggetta a condizioni tanto difficili da rispettare e i suoi creditori, volenti o nolenti, dovrebbero accontentarsi di pagamenti con una valuta sempre più debole, che proprio attraverso la svalutazione (come tante volte è accaduto nella storia) alleggerirebbe il peso del debito. Per parte sua l'Unione Europea eviterebbe di impelagarsi in ulteriori impieghi di risorse e in ulteriori condizioni che, in caso poi di fallimento, la renderebbero sempre più corresponsabile dello stesso fallimento, con effetti ancora più probabili di contagio e di destabilizzazione. Fermarsi ora e amputare la parte malata, e cioè la Grecia, potrebbe invece evitarlo.

Mi si dirà che è inutile anche parlarne perché nessuno ci pensa davvero. Ma non guasta notare che una cosa utile è far presente ai greci - come ha fatto la Damanaki- che il rischio c'è, una cosa ben diversa sarebbe adoprarsi davvero per il loro recesso. Prescindiamo dalla scarsa idoneità della procedura a risolvere un problema di emergenza (i giuristi a questi fini inventano sempre qualcosa). E prescindiamo anche dal guaio in cui si troverebbe la Grecia, condiviso pro quota dalle banche, non solo greche, che hanno in portafoglio i suoi titoli. Ma davvero si eviterebbe il contagio mettendola fuori dall'Unione, dimostrando con ciò che non è più la coesione il principio su cui questa si regge e che i mercati, prendendo di mira qualcuno, possono ottenere un risultato del genere? L'Europa - temo - diventerebbe un carciofo.

Ciò che meno destabilizza è allora continuare a sostenere la Grecia, imponendole condizioni che essa possa adempiere e costringendola davvero ad adempiere. E il recesso resti lì, allo scopo per cui lo si era pensato.

=> Rassegna: 29 maggio 2011 | di Giuliano Amato |

lunedì, maggio 30, 2011

Libia/Neo-colonizzazione: I soldati della Nato sono già sul territorio libico

Libia. I soldati della Nato sono già sul territorio libico

Violata nuovamente la risoluzione dell'Onu. La tv satellitare araba Al Jazira ha mostrato un video girato dalla troupe di uno dei suoi giornalisti in Libia, Tony Birtley, in cui sei soldati stranieri appaiono brevemente a fianco dei ribelli di Bengasi.

I soldati delle potenze Nato ripresi da Al Jazeera vengono definiti come «allied boots» («stivali alleati») probabilmente britannici, secondo Britley. Le immagini sono state girate a Dafniya, a ovest di Misurata, avamposto degli insorti che cercano di avanzare verso Tripoli. Il video dura poco più di due minuti e mezzo e solo alla fine si vedono i soldati occidentali. Cinque di loro sono armati e vestono uniformi informali color sabbia. Il sesto pare in borghese, con una maglietta polo rosa e pantaloni chiari. Il gruppetto si allontana rapidamente quando pare accorgersi di essere finito nell'occhio della telecamera. La presenza di truppe straniere sul terreno in Libia viola apertamente la risoluzione 1973 con cui l'Onu ha autorizzato l'intervento nel Paese per difendere i civili dal regime di Gheddafi «con ogni mezzo» ed ha istituito una “no fly zon”, ma esclude qualsiasi presenza militare straniera sul territorio libico.

Undici persone intanto sarebbero state uccise in un raid effettuato oggi dagli aerei della Nato contro «siti civili e militari» a Zliten, nella regione di Wadi Kaam, circa 150 chilometri a est di Tripoli. Lo ha riferito l'agenzia d'informazione libica Jana. «Alcuni siti civili e militari nella regione di Wadi Kaam, a Zliten, sono stati il bersaglio lunedì di incursioni dell'aggressore colonialista», ha riportato la Jana, che parla di «undici» morti e di un numero imprecisato di feriti. L'agenzia, citando una fonte militare, ha annunciato che alcuni caccia della Nato hanno bombardato anche al-Jafra, città situata circa 600 chilometri a sud di Tripoli

Sembra invece ancora saldo in sella il leader libico Gheddafi. Le immagini proiettate oggi della tv hanno mostrato Gheddafi che accoglieva il presidente del Sudafrica Zuma e altri funzionari e poi mentre percorreva un corridoio insieme al presidente sudafricano. Il rais libico e la delegazione di Zuma sono poi stati mostrati seduti su grandi poltrone bianche in una grande stanza. La tv non ha detto dove si è svolto l'incontro.

di  Redazione Contropiano

sabato, maggio 28, 2011

Democrazia/Europa: Forte repressione in Spagna ma i giornali non ne parlano

Dopo la repressione violenta delle proteste da parte della polizia catalana, PeaceReporter ha intervistato Pere Duran Nadal uno dei portavoce degli indignados di piazza Catalunya...

Dopo la repressione delle forze dell’ordine sui manifestanti in piazza Catalunya a Barcelona, PeaceReporter ha intervistato Pere Duran Nadal, uno dei portavoce degli indignados...

Raccontaci cosa hai visto.
Siamo arrivati in piazza Catalunya alle sette di mattina e c’erano già schierati gli agenti della polizia autonoma catalana e della guardia urbana, la polizia municipale di Barcelona. Sono arrivati con le squadre della nettezza urbana, intimandoci di andare via per permettere le operazioni di pulizia. Ma ci siamo rifiutati e i netturbini hanno iniziato a bloccare l’accesso alla piazza e, insieme agli agenti di polizia, a distruggere i nostri gazebo, a prenderci i computer, i depliant informativi e tutto il materiale in nostro possesso. Hanno anche staccato tutte le nostre apparecchiature, dal mixer allo schermo gigante fino ai ripetitori per la connessione a internet. Ci hanno preso tutto e l’hanno caricato sulle loro camionette.


Cos’è successo poi?
La gente che aveva saputo ciò che stava accadendo, si è riversata in piazza Catalunya per darci ulteriore sostegno. Verso le dieci e mezza eravamo davvero in tanti, sia dentro che fuori dal perimetro della piazza. Ci siamo seduti intorno ai mezzi della polizia affinché non potessero uscire dalla piazza e, quindi, portarsi dietro tutte le nostre cose. Per liberare i veicoli gli agenti schierati hanno iniziato a caricare i manifestanti, il resto è quello che si è visto in televisione. In tanti anni di partecipazione attiva non ho mai visto un attacco così indiscriminato su gente indifesa, mai vista tanta bestialità.

La polizia ha accusato i manifestanti di aver distrutto le vetrine dei negozi, i semafori le cabine telefoniche? Cosa c’è di vero?
Sono tutte falsità.

Provocazioni verbali?
Quelle ci sono sempre, fanno parte di questi momenti. Riesci a immaginare una manifestazione senza insulti o parolacce? Ma, ripeto, che fra i manifestanti nessuno ha usato violenza o commesso atti vandalici.

Quindi sono le forze dell’ordine che hanno iniziato a usare violenza?
Assolutamente sì. E lo hanno fatto fin dall’inizio della nostra protesta che si è svolta in modo pacifico ed è finita con gente ricoperta di sangue e lividi.

Chi ha dato il comando di questa operazione?
Felip Puig, il consigliere degli Interni (il ministro degli Interni, ndr) della Generalità Catalana.

Quanti feriti ci sono?
Sono stati confermati più di cento feriti. Fra di loro ci sono anche giornalisti. Alcuni manifestanti hanno riportato la rottura di braccia e gambe. È stata una carica davvero potente.

Sì, le immagini sono molto chiare.

Ci sono anche quelle che non sono state fatte vedere. Quando gli agenti hanno iniziato a sparare, mentre caricavano dai lati le persone che erano ancora sedute in strada.

Hanno sparato proiettili di gomma?

Sì, anche se è proibito. Ci sono nuove armi che avrebbero dovuto sostituire quelle che sono state usate oggi, visto che proprio queste, in passato, avevano causato danni irreparabili alla gente, come la cecità. La Generalità Catalana aveva approvato un protocollo per proibirne l’impiego. Oggi hanno usato le armi nuove con i proiettili vecchi, quelli che vengono sparati direttamente sul corpo. Inoltre, e questa è la cosa più grave, oggi i poliziotti erano senza distintivo. Pertanto non potranno esserci denunce contro qualcuno in particolare. Perché nessun agente si è identificato. Non solo. Alcuni hanno agito anche con il volto coperto da passamontagna, in modo da non essere riconoscibili nei filmati o nelle fotografie. É stata un’azione totalmente illegale.

Ora che farete?

Ritorneremo in piazza alle sette per chiedere, tra l’altro, le dimissioni immediate di Puig. Inoltre ricorreremo al síndic de greuges (una sorta di difensore del popolo, ndr), Raphaël Ribo, per avviare una denuncia e cercare di avere giustizia e ottenere di nuovo il nostro materiale che, di fatto, è stato rubato dalla polizia.

Antonio Marafioti

lunedì, maggio 23, 2011

“Vi veri universum vivus vici” – Latino, espressioni di uso comune

Vi veri universum vivus vici è una frase latina che significa: "Con la forza della verità, da vivo, ho conquistato l'universo."

Questa frase viene generalmente attribuita all'opera teatrale The Tragical History of Doctor Faustus di Christopher Marlowe, dove sarebbe dovuta apparire come Vi veri ueniversum vivus vici, tuttavia non è riscontrabile alcuna citazione diretta. Notare che la lettera "v" era originariamente la "u" consonantica, ed era scritta allo stesso modo prima che le due forme diventassero distinte, e in certi casi anche dopo, quando la "u" e la "v" erano entrambe rese maiuscole come "V": quindi, Vniversum. Inoltre, "universum" viene a volte citato nella forma "Ueniversum" (o Veniversum), che è presumibilmente una combinazione di "universum" e "oeniversum", due ortografie classicamente attestate.

La frase è stata recentemente popolarizzata dal film V per Vendetta. Nel fumetto originale V for Vendetta di Alan Moore, da cui il film è stato tratto, la frase è semplicemente attribuita a "un signore tedesco di nome Dott. John Faust."


Da Wikipedia, la conoscenza libera l’uomo.

Ps: Se hai trovato cosa cercavi, lascia un commento. Ci sentiamo presto!

Docet: Lupus et Agnus... qualcuno sta rubando i nostri sogni

Docet: Lupus et Agnus... qualcuno sta rubando i nostri sogni, mentre aumentano i pericoli di nuove sporche GUERRE (Nel mirino adesso c'è l'Iran). DOVE ANDIAMO? I ricchi sempre più ricchi mentre ovunque cresce nuovamente il numero di poveri. Perché?

mercoledì, maggio 11, 2011

“Tempus regit actum” – Latino, espressioni di uso comune

Tempus regit actum è una locuzione in lingua latina usata nel mondo del diritto, solitamente tradotta in italiano con l'espressione "il tempo regge l'atto". L'interpretazione ordinaria della frase è quella data in diritto processuale sia civile che penale sulla base del quale il diritto processuale in vigore al momento della causa regge l'actio (con tempus soggetto e actum oggetto).

Da Wikipedia, la conoscenza libera l’uomo.

Ps: Se hai trovato cosa cercavi, lascia un commento. Ci sentiamo presto!

lunedì, maggio 02, 2011

Quanto costerà all'Italia la sporca guerra in Libia? 700 milioni di euro.

Come mai l’Italia si può permettere di spendere 700 milioni di euro per bombardare la Libia e non riesce a trovare i soldi per risolvere il problema dei professori precari? Il problema delle scuole fatiscenti, del lavoro per i giovani, ecc. Dopo aver letto questo articolo ho concluso ciò che è notto a tutti ma che quasi tutti non tengono in conto: ogni popolo merita subire la miseria politica dei suoi eletti. Considerazione attuale e che trova un vero riscontro nel rapporto degli elettori italiani con il super Silvio & Co.

Con i bombardamenti in Libia l’Italia ha dato conferma che l’anima di un popolo non cambia facilmente. Pugnalata alla Francia, adesso alla Libia. Chi potrà cambiare l’anima furba ed ingenua degli italiani?

Comincia così…

Calcolare i costi di una guerra prima che sia finita è impossibile, ma qualcuno si è già lanciato in qualche stima anche per quanto riguarda lo scontro in Libia, dove il nostro Paese ha aumentato il proprio impegno nei giorni scorsi. L'unica cifra uscita finora dalle aule parlamentari ipotizza 700 milioni di euro in tutto. A conti fatti, dunque, il conflitto potrebbe pesare su ogni italiano circa 11,6 euro. Ad averlo dichiarato è il deputato leghista Maurizio Fugatti, che in commissione Finanze della Camera ha detto: "Un intervento come la guerra in Libia costa 700 milioni, dove andiamo a prendere i soldi?".

Il Foglio del 28 aprile, invece, parla di un miliardo di euro. "A metà aprile - si legge a pagina 3 - La Russa disse in un'intervista che erano già stati spesi 500 milioni, contando anche i fondi del ministero dell'Interno per l'emergenza profughi e immigrati". "La guerra libica - sintetizza il giornale diretto da Giuliano Ferrara - rischia di costare all'Italia oltre un miliardo di euro". In questo caso, dunque, il conflitto presenterebbe a ogni cittadino del nostro Paese un conto di circa 16,6 euro.

Anche se i costi variabili non possono ancora essere calcolati, dato che sono legati alla durata della guerra e al tipo di operazioni che si deciderà di sostenere, qualche dato può aiutare a farsi un'idea di ciò a cui si sta andando incontro. Il 26 aprile, il Sole 24 Ore scriveva che "dal 19 marzo al 24 aprile sono state effettuate circa 500 sortite per un totale di oltre 1.300 ore di volo", che tradotto in soldi significa "un costo di oltre 45 milioni di euro solo per la componente aerea".

E non ci sono solo gli aerei. "Le cinque unità navali impegnate nelle operazioni di fronte alle coste libiche (portaerei Garibaldi, un caccia, una fregata, un rifornitore e una corvetta) - scrive ancora il quotidiano economico milanese - costano ogni giorno circa 350 mila euro di spese vive". Il Foglio puntualizza poi che "i costi variano dai 30/40 mila euro per le bombe guidate a quasi un milione di euro per un missile da crociera Storm Shadow" (secondo altre fonti, però, il costo della stessa arma non supererebbe i 300 mila euro). Qualche altra indicazione arriva da una tabella di conversione non ufficiale per quantificare i costi della missione Nato. Per la solaportaerei Garibaldi, per esempio, il costo sarebbe di 130 mila euro al giorno e per gli otto caccia Av-8B Plus a bordo si devono aggiungere altre 9 mila euro per ogni ora di missione. E ancora: tra i caccia, l'Eurofighter è il più caro, con un costo di circa 61 mila euro l'ora, mentre Tornado e Amx si fermano a "soli" 28 mila euro.

Sempre in tema di costi, il presidente del Veneto, il leghista Luca Zaia, ha acceso il faro sul problema dell'immigrazione. "Abbiamo già visto cosa vuol dire applicare la risoluzione Onu 1973 - ha detto il governatore - che per l'Italia ha significato avere 25.800 immigrati direttamente sulle coste di Lampedusa". E altri costi indiretti peseranno sicuramente sulle tasche dei consumatori. Tra gli altri, basti pensare a quello sulla benzina. Gli analisti, infatti, parlano già di"effetto Libia": lo scontro in atto sta provocando difficoltà nell'approvvigionamento del petrolio e, a cascata, l'aumento dei prezzi dei carburanti (la verde, per esempio, è ormai stabilmente sopra 1,5 euro al litro).

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