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sabato, dicembre 18, 2004

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venerdì, dicembre 17, 2004


LA belleza vita:

mercoledì, dicembre 01, 2004

Bambini in guerra

Si dice con frase fatta: immagini che non avremmo mai voluto vedere. Oppure che
non vorremmo vedere più. Invece dobbiamo guardarle e riflettere. Foto di bambini in guerra, in zone di guerra. Bambini che subiscono la guerra, bambini che
combattono la guerra. Bambini in uniforme. Un’infanzia negata e violata,
un’infanzia che combatte e che cerca, in qualche modo, di riacquistare un poco
di ‘normalità’. Bambini che guardano curiosi, inquieti, terrorizzati, una realtà
inquietante, abitata da soldati in armi. Sullo sfondo carri armati pronti a
sparare.


'Gli occhi dell'innocenza' è il titolo di una mostra fotografica voluta dal Consiglio regionale della Toscana e allestita, fino all'8 dicembre, nelle sale di Palazzo Panciatichi, Via Cavour 2, Firenze.
75 scatti di fotografi inviati nelle zone di guerra che mostrano, in maniera agghiacciante e cruda, il rapporto tra guerra e bambini. La mostra è inserita nelle celebrazioni 2004 della Festa della Toscana, istituita per ricordare l'abolizione della pena di morte, da parte del Granduca Pietro Leopoldo, nel 1786.

Fonte: Qui

L'arte come allontanamento dalla conoscenza del vero

Quando mai?

Aiap



In stretta connessione con la tematica metafisica e dialettica va vista la problematica platonica dell'arte, giacché solo in tale connessione essa risulta pienamente intelligibile. Platone, infatti, nel determinare l'essenza, la funzione, il ruolo e il valore dell'arte si preoccupa solamente di questo: di stabilire cioè quale valore di verità essa abbia, ossia se essa avvicini al vero, se renda migliore l'uomo, se socialmente abbia valore educativo oppure no. E la sua risposta, come è noto, è del tutto negativa: l'arte non disvela ma vela il vero, non migliora l'uomo ma lo corrompe perché è menzognera, non educa ma diseduca. Vediamo di intendere un po' a fondo le ragioni di questa condanna, che è rimasta in tutti i dialoghi pressoché senza appello. Già nei primi scritti Platone assunse un atteggiamento negativo di fronte alla poesia, considerandola decisamente inferiore alla filosofia.


Il poeta non è mai tale per scienza, e per conoscenza, ma per irrazionale intuito. Il poeta, quando compone, è ispirato, è "fuori di sé", è "invasato", e quindi inconsapevole: non sa dar ragione di ciò che fa, né sa insegnare ad altri ciò che fa. Il poeta è poeta per fato divino.
Più precise e determinate sono le concezioni sull'arte che Platone esprime nel libro decimo della Repubblica. L'arte, in tutte le sue espressioni (cioè sia come poesia, sia come arte pittorica e plastica), è, dal punto di vista ontologico, una "mimesi", vale a dire una "imitazione" di cose e avvenimenti sensibili. Sia la poesia che l'arte figurativa descrivono uomini, cose, fatti e vicende di vario genere, cercando di "riprodurli" con parole, colori, rilievi plastici. Ora, noi sappiamo che le cose sensibili sono, dal punto di vista ontologico, non il vero essere, ma l'imitazione del vero essere: sono una "immagine" dell'eterno "paradigma" dell'Idea, e perciò distano dal vero nella misura in cui la copia dista dall'originale. Ebbene, se l'arte, a sua volta, è "imitazione" delle cose sensibili, allora ne consegue che essa viene ad essere una "imitazione" di una "imitazione", una "copia" che riproduce una "copia", e quindi viene ad essere lontana dal vero ancor più di quanto lo siano le cose sensibili: essa rimane "tre gradi lontana dalla verità".
Dunque l'arte figurativa imita la mera parvenza e così i poeti parlano senza
sapere e senza conoscere ciò di cui parlano, e il loro parlare è, dal punto di
vista del vero, un gioco, uno scherzo. Per conseguenza, Platone è convinto che
l'arte si rivolga non alla parte migliore, ma alla parte peggiore della nostra
anima.

Su questa concezione si è molto scritto e detto e qualcuno ha creduto, urtato dalla sua crudezza, di doverla temperare e ridimensionare, invocando il fatto che Platone apprezza invece in grado sommo la bellezza e l'Idea di Bello, e richiamando quei passi del Convito e del Fedro, che sono veri inni alla bellezza. In verità questo associare il problema dell'arte al problema della bellezza è storicamente poco corretto, almeno nel contesto platonico. Infatti, il nostro filosofo collega la bellezza non tanto all'arte quanto all'eros e all'erotica, che, come vedremo, hanno altro senso e altra funzione. Perciò è perfettamente inutile tentare, avvalendosi delle acquisizioni della moderna estetica, di trovar ciò che in Platone non c'è. La verità è che, per Platone, l'arte non ha una sfera e un valore propriamente autonomi: essa vale solamente se e nella misura in cui possa o sappia mettersi al servizio del vero. Ed è inutile, anche, invocare il fatto che Platone, il quale deprezza così l'arte, è tuttavia sommo artista: infatti, se è vero che Platone brudò i suoi primi tentativi poetici, questo riconferma la fedeltà dell'uomo alla sua dottrina: li bruciò per essere filosofo, ed esplicò la sua arte solo al servizio della filosofia e della verità. Platone non negò l'esistenza dell'arte, ma negò che l'arte potesse valere solo per se stessa: l'arte o serve il vero o serve il falso e tertium non datur. E noi moderni, che tanto proclamiamo l'assoluta libertà dell'arte e riteniamo dogma ass olutamente intangibile l'arte per l'arte, p potremmo addurre contro Platone numerose delle acquisizioni dell'estetica e potremmo dimostrare il positivo che è proprio dell'arte come arte, sotto vari aspetti. Tuttavia, malgrado questo, possiamo davvero dire che nella istanza platonica non ci sia nulla di vero? Possiamo davvero dire che, affrancatasi dal vero metafisico e logico, l'arte non si sia spesso ridotta a gioco? Possiamo davvero dire che l'arte non abbia finito talora per rivolgersi alla sollecitazione della parte peggiore di noi? Possiamo davvero dire che l'arte non abbia troppo spesso contribuito a disperderci nelle vane parvenze?


fonte: Qui