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martedì, ottobre 25, 2011

Psicologia del Sesso: Fedeltà, orgasmo, partner i luoghi comuni sfatati dalla scienza

Una ricerca americana mette in fila tutti i risultati degli studi sulle presunte differenze tra uomini e donne sulla sessualità. Ne esce un ritratto assai diverso dalle convinzioni popolari di SARA FICOCELLI

fedelta delle coppie, alle ragazze piace il sesso

Sorpresa: Scoperta l’acqua calda 
Il sesso piace anche alle donne

IL CANTAUTORE Cesare Cremonini non è più l'unico a credere che gli uomini e le donne siano uguali: a fargli eco sono anche gli scienziati. Negli ultimi 20 anni, molti studi hanno dimostrato che, quando si tratta di sesso, maschi e femmine pensano e agiscono in modo simile.

I 'miti' del diverso approccio dei generi (lui più interessato al sesso, lei all'amore e così via) sono dunque destinato ad essere soppiantati dalla schiettezza della ricerca che, una volta tanto, vede i dati provenienti da più laboratori andar tutti nella stessa direzione.

Ad aver tirato le file di queste ricerche è l'Università del Michigan di Ann Arbor (Stati Uniti), con uno studio condotto dal dottor Terry Conley e pubblicato su Current Directions in Psychological Science, la rivista dell'Associazione per le scienze psicologiche.

L'analisi di Conley ha preso come primo punto di riferimento lo stereotipo che gli uomini pensano al sesso di più delle le donne, cercando riscontro della teoria in due decenni di ricerche sul comportamento degli esseri umani. Dopo aver notato che non esiste, a livello scientifico, nessuna conferma di questo mito popolare, Conley ha concluso che "le differenze di genere non devono esser prese alla lettera per quanto riguarda la sessualità", e ha poi demolito uno per uno sei luoghi comuni sul rapporto di uomini e donne con amore e sesso.

Il più diffuso è quello secondo cui gli uomini vogliono una compagna sexy e le donne un partner benestante. Che così non è, spiega Conley, lo ha dimostrato, nel 2008, uno studio della Northwestern University pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology, che ha usato la formula dello 'speed dating', ossia degli 'incontri lampo programmati', per scoprire che, al momento di scegliersi, uomini e donne sono imprevedibili allo stesso modo, non seguono regole e spesso si sentono attratti da un partner che sulla carta non rispecchia nessuna delle proprie aspettative. 

"Oggi le donne - spiega la psicologa sessuologa Francesca Romana Tiberi, presidente dell'Associazione iItaliana sessuologia e psicologia relazionale - tendono a costruirsi la propria identità puntando solo sulle proprie capacità e quindi non ricercano più un partner 'comodo' sul piano economico. Anche gli uomini dal canto loro stanno modificando questa tendenza alla ricerca della partner sexy: la donna avvenente non è più sufficiente, cercano una compagna in grado di offrire un reale supporto".

Altro luogo comune sfatato è che i maschi siano promiscui e le donne monogame. In effetti i primi, se interrogati sull'argomento, affermano di praticare il sesso più spesso e con più partner rispetto alle seconde. Tuttavia, uno studio condotto nel 2003 dagli psicologi Terri Fisher dell'Ohio State University e Michele Alexander dell'università del Maine ha rivelato che queste differenze sono dovute al fatto che le donne non sempre rispondono onestamente alle domande sul sesso.

"Sono sensibili alle aspettative sociali riguardo al loro comportamento - spiega Fisher - e potrebbero non essere del tutto oneste se interrogate sulle proprie abitudini sessuali". Il presidente dell'Istituto italiano di sessuologia scientifica Fabrizio Quattrini spiega: "Oggi uomini e donne hanno uguali desideri ma i primi continuano a pavoneggiarsi delle possibili conquiste, mentre le seconde furbamente collezionano esperienze tenendole tutte per sé. Gli uomini stereotipicamente restano agganciati al desiderare più donne (solo nel pensiero) ma poi difficilmente si vedono all'interno di un tradimento, mentre le donne, pur non promuovendo una campagna a favore delle conquiste, sono le prime a confessare eventuali tradimenti".

Secondo uno studio della Ohio State University di Mansfield, anche quella che gli uomini pensano al sesso ogni sette secondi sarebbe una leggenda metropolitana. Gli studenti universitari, scrivono gli scienziati, fantasticherebbero sul coito appena 18 volte al giorno (contro le 10 delle donne) e ci penserebbero con la stessa frequenza con cui rimuginano su cibo e sonno. Dunque sarebbero, a detta degli studiosi, più salutisti che sessuomani. "In effetti però - precisa la Tiberi - gli uomini sono più portati a pensare al sesso, perché nel sesso maschile ciò non è collegabile ad alcun moralismo. Per gli uomini è possibile avere pensieri sessuali senza vivere sensi di colpa. Nelle donne questa libertà ancora non esiste".

L'analisi di Conley e colleghi ha anche sfatato il mito della problematicità dell'orgasmo femminile, ricordando uno studio pubblicato nel libro "Families as They Really Are" (W.W. Norton and Co., 2009) e condotto chiedendo a 12.925 persone di parlare della propria vita sotto le lenzuola: dalle risposte è emerso che nelle relazioni stabili le donne nel 79% dei casi raggiungono il piacere tanto quanto l'uomo. Tuttavia, sottolinea la psichiatra e psicoanalista Adelia Lucattini, presidente della Sipsies, Società internazionale di psichiatria integrativa e salutogenesi di Roma, è pur vero che "le donne hanno fisiologicamente meno orgasmi degli uomini, in parte per una questione anatomica ed in parte per una questione psicologica". 

Penultimo mito da sfatare: secondo la tradizione, il sesso occasionale piacerebbe più ai maschi che al gentil sesso. Falso anche questo. In un esperimento condotto nel 1989 dai ricercatori Rusell Clarck ed Helaine Hatfield era stata provata l'esistenza di una differenza di genere nella risposta agli approcci casuali (il 75% degli uomini avvicinati da una sconosciuta avevano acconsentito alla possibilità di farci sesso, mentre la percentuale di donne "disponibili" all'avventura di una notte con uno sconosciuto era dello 0%), e questa differenza poteva essere spiegata, secondo i ricercatori, col fatto che donne e uomini attribuissero, per motivi psico-biologici, un significato diverso alla cosa.

Secondo Conley invece le donne dicono di no solo perché sono più selettive: saprebbero insomma riconoscere a vista d’occhio un partner sessualmente poco soddisfacente. Questo comportamento, spiega lo studioso, ha origine nella loro minore capacità di raggiungere un orgasmo, il quale dipende in gran parte dalle doti amatorie dell'uomo. La 'Pleasure Theory', dunque, dice che uomini e donne agiscono entrambi in base alla ricerca dell'occasione in cui provare il massimo piacere. "E' sempre un gioco delle parti", precisa la Lucattini. "Le donne sono spesso molto attive nell'essere 'cacciate' e far sentire l'uomo 'predatore'. Vi è in loro un grande piacere nel gestire e organizzare dietro le quinte l'occasionalità delle relazioni maschili, facendo apparire le proprie molto più stabili di quello che non siano in realtà".

Infine, la capacità di scegliere accuratamente il partner e conquistarlo, fin qui riconosciuta più alle femmine che ai maschi. Nel 2009 Eli Finkel, ricercatore della Northwestern University, ha invece dimostrato su Current Directions in Psychological Science che entrambi i sessi sono abili a costruire il rapporto con la persona desiderata, autoimponendosi piccoli sacrifici e attuando il cosiddetto 'effetto Michelangelo', ovvero il raggiungimento dell'intesa a colpi di scalpello, come si fa con una scultura.

Secondo la ricerca, uomini e donne sarebbero dunque entrambi esigenti, perseveranti e pignoli quando si tratta di scegliere il partner, e lo scettro di 'cacciatrici perfette' non spetterebbe alle rappresentanti del sesso femminile.

"Fin dall'adolescenza però - conclude la Lucattini - le donne si addestrano nella ricerca del compagno migliore, sia sessuale che sentimentale, e sono estremamente attive nella caccia dell'uomo giusto. Una volta scelto, sono bravissime a suscitare il suo interesse e a condurlo a sé, attraverso una seduzione spesso non vistosa ma per questo non meno efficace".  Qualcosa di attendibile nei luoghi comuni, dunque, c'è. Come diceva Voltaire, "Se abbiamo bisogno di leggende, che queste abbiano almeno l'emblema della verità".

La Repubblica

lunedì, ottobre 17, 2011

Libia/Nuova Colonizzazione 2011: La città di Sirte distrutta come Stalingrad

Libia - crimini contro l'umanita - Sirte come Stalingrad

LA GUERRA. La guerra che Nicola Sarkozy, David Cameron e Barack Obama (il nobel per la pace) hanno voluto in Libia continua a dare i suoi frutti attesi: frutti di grandi dolori alle popolazioni libiche, frutti di distruzione di intere città e suoi abitanti, di sistematiche violazioni dei diritti umani, frutti di odio e di molto desiderio di vendetta. Come ogni guerra in stile coloniale, siamo in grado di dire che la in Libia produrrà ancora molto dolore, e chissà quante conseguenze si abbatteranno su ogni paese che ha bombardato quelle popolazioni.

I DIRITTI UMANI. Molti amici occidentali, italiani ed in inglesi prevalentemente, molte organizzazioni no-profit con le quali sono in contatto, molti politici ed intellettuali sul piedistallo del pensiero liberal  democratico con i quali ho avuto l’opportunità di scambiare qualche parole, spesso  si abbelliscono la bocca parlando dei diritti umani. Molto di questi sono dei veri campioni dei discorsi circa l’inviolabilità della vita umana, però, ripeto, però, non riesco a capire con quale SPUDORATEZZA riescono a chiudere un occhio alle disgraziate azioni militari che i rispettivi paesi compiono in altri terre con la scusa della lotta al terrorismo.

LA MANIPOLAZIONE SOCIALE. L’intervento militare occidentale in Libia si è fatto precedere da una longa e vasta campagna di disinformazione, cioè,  la propaganda è passata in tutte le tv, radio e giornali come informazioni sicure riguardanti le azioni del “dittatore sanguinario” Muammar Gheddafi. Un piano quasi perfetto per legittimare una guerra sporca e odiosa. Ecco alcuni elementi collaudati del piano d’attuazione: a) Uomini sul terreno che producono (false) notizie di repressione in tempo reale; b) Organizzazione dei diritti umani pagate per diffondere condannando quei presunti fatti di violazione sistematiche dei diritti umani; c) Uomini di vari spessore politico, religiosa e morale pronti a condannare e richiedere uno intervento urgente dell’Occidente/ONU a fine di evitare un genocidio al modello ruandese; d) Dulcis in fundo. Un centro di comunicazione che coordina la manipolazione di tutte le informazioni da far passare in tutte le reti televisive e radiofoniche in occidente. Sul ruolo dei media, distacchiamo l’Al Jazeera, la BBC e la CNN come le punte di diamante di questa azione propagandistica degna delle SS del regime nazista.

Con questa strategia gran parte dell’opinione pubblica occidentale è stata manipolata e portata a legittimare un intervento urgente dell’ONU in Libia. Al Jazeera, il canale arabo conosciuto inizialmente come l’anti CNN e BBC per il mondo arabo,  si è rivelata lo strumento di disinformazione per eccellenza. Sin dall’inizio faceva parte del piano e seguiva la rivolta (colpo di Stato fallito) in ogni suo dettaglio, arrivando a diffondere in tutto il mondo i suoi “finti scoop” e inventando persino l’idea che Gheddafi avrebbe danno ordini di reprimere con aerei i manifestanti della finta “primavera araba” libica in salsa francese. A ragion veduta, il finto “scoop” dell’uso dell’aereo è stato ampiamente progettato, visto che così dava alla Francia l’alibi di proporre “dunque” una No fly zone sulla Libia. E’ il caso di dire: nel mondo della politica niente accadde per caso.

I PACIFISTI INGANNATI. Come l’aria umida anticipa la pioggia, così ogni guerra “per materie prime e controllo geo-politico-strategico” è preceduta da una massiccia disinformazione manipolatrice tesa a legittimare l’intervento militare “delle "potenze” occidentali. Per la guerra in Libia lo script è stato lo stesso, e persino le organizzazione pacifiste e i suoi intellettuali di punta sono caduti in errore. Non si è vista una manifestazione contraria ad una sporca guerra in più, tutti erano d’accordo che bisognava intervenire sul presunto conflitto altrimenti Gheddafi avrebbe finito per ammazzare il suo proprio popolo. Sarkozy & CO hanno usato il format collaudato in Iugoslavia “R2P”, il diritto di proteggere, che possiamo tradurre in “Diritto di bombardare”. Molti come me, hanno sofferto più per il silenzio di coloro i quali si sono sempre affermati come pacifisti, come difensori dei più deboli, come i veri democratici visto che tengono il dialogo come strumento precipuo per la risoluzione di ogni guerra. Costoro, questa volta non c’erano, se c’erano, dormivano. Così la guerra in Libia è andata in scena, 50.000 morti in sei mesi ed il paese che vantava il PIL per-capita più alto dell’intero continente africano è stato ridotto a brandelli.

LE RESPONSABILITA DELLA NATO. L’Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (NATO) ha violato sistematicamente la risoluzione dell’ONU che la permetteva di attuare in Libia. Tutto parte della risoluzione 1973 (2011) dell’ONU, proposta dalla Francia. Secondo essa, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, assegna ad un gruppo di paese volenterosi la missione di imporre una “No fly zone” sulla Repubblica della Libia col fine di evitare che Muammar Gheddafi usi i suoi aerei per reprimere i manifestanti. Il gruppo di volenterosi è costituito inizialmente dall'a Francia, Inghilterra, Italia, Qatar, Norgegia, Spagna ed altri con meno interesse. Questi paesi presto passano la missione alla NATO. La NATO è andata oltre: ha imposto la “No fly zone”, ha distrutto tutte le difese aeree della Repubblica della libica ed è entrata a fare parte della guerra. Azioni contrarie allo statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU),  che vieta severamente la ingerenza in affari interni delle nazioni associate.

RELAZIONI TRA STATI. Secondo le regole internazionali: è severamente vietato prendere parte nella guerra civile di uno Stato sovrano; è vietato vendere armi in territori contesi visto che incrementa le azioni di guerriglia e le vittime civili;  è vietato l’uso delle bombe chimiche; è vietato l’uso delle bombe a grappolo considerando che triplicano il numero di morti nel post-guerra;  è vietato l’uso di armi con alto componente di plutonio ed uranio arricchito; è vietato il supporto ad organizzazioni che praticano la tortura, le fucilazioni sommarie, la cacia all’uomo, le violazioni dei diritti umani in genere. Tutto questo la NATO l’ha fatto. Chi è la NATO? Come considerare dunque lo status di questa organizzazione nel contesto delle nazioni di diritto?

Mentre chiudo questa riflessione, la guerra in Libia continua. Molti uomini e donne continuano a morire sotto le bombe di coloro che li dovevano difendere, salvare, aiutare ad uscire dalla crisi.  Ieri l’Iraq, dopo l’Afghanistan, oggi la Libia e domani? Una cosa è certa, prima o poi i responsabili di queste guerre per il petrolio dovranno pagare per le vite umane perse nelle loro avventure. Ogni vita vale quanto le altre, chi risponderà per la morte di tanti civili libici? Obama? Sarkozy o Cameron?

  • Il numero di morti nella guerra libica continua a salire, cosa fa la NATO in Libia?
  • La NATO doveva proteggere i civili o fare parte di una guerra?
  • Chi pagherà alla NATO le bombe usate in Libia contro i libici?
  • Chi controlla l’azione della NATO?
  • Con quali diritti la NATO interviene nelle guerre interne al continente africano senza confrontarsi con l’Unione africana?
  • Chi sono i ribelli?
  • Quale è il progetto politico e cultura che i ribelli/NATO hanno per la Libia?
  • Chi risponderà per il genocidio dei neri libici? (Cfr. Reportage del Corriere)
  • Perché mai le organizzazioni dei diritti umani non dicono nulla contro il massacro che i ribelli appoggiati dalla NATO compiono in Libia?
  • Una volta che si è verificato che la NATO viola ogni legge internazionale, chi può portare la NATO sul banco degli imputati?
  • Perché l’Italia ha dovuto accettare questa guerra anche se perdeva lei stessa tutti i previlegi che aveva sul mercato energetico libico?
  • Quanti milioni la NATO spende in Libia? Chi li pagherà?
  • Ma chi è la NATO?

Di Kingamba Mwenho
”L'ignoranza è forza, la guerra è pace, la libertà schiavitù.” George Orwell 1984.

lunedì, ottobre 10, 2011

Da Stanford: "Dite addio a cattedre e aule" così l'istruzione viaggia sul web

Da oggi a Stanford il corso online sulle Intelligenze Artificiali: 140 mila iscritti da 175 nazioni. Che non dovranno muoversi da casa per seguire le lezioni o fare gli esami. Tutto accade in Rete. Ma c'è anche qualche problema: come impedire che qualcuno faccia i compiti al posto di altri sballando le valutazioni finali? Ma la rivoluzione va avanti.

NELLA "scuola del futuro" non ci sono banchi rotti, muri sporchi ed edifici fatiscenti. Per la verità non ci sono proprio i banchi, i muri e gli edifici. E nemmeno le cattedre. Ci sono soltanto gli unici due elementi assolutamente indispensabili perché si possa parlare di un corso di studi: i docenti, ma solo quelli bravi davvero. E soprattutto gli studenti, tantissimi studenti.
Mai visti tanti studenti in una sola classe: quelli che stamattina aprono l'attesissimo corso di Introduzione all'Intelligenza Artificiale dell'università di Stanford, sono più di 140 mila e vengono da tutte le parti del mondo. Anzi, non vengono affatto perché ciascuno di loro, da oggi fino al 12 dicembre quando si terrà l'esame finale, per seguire le lezioni se ne starà a casa propria, o magari in un parco con un laptop sulle ginocchia, oppure starà facendo altro e si collegherà in rete quando gli sarà più comodo rivedere il professore su YouTube.
Ecco, la rete Internet sì, quella deve esserci nella scuola del futuro: e a banda larga se possibile, sennò i video vanno a singhiozzo e il sapere va a farsi benedire.
Benvenuti alla "University of Everywhere", l'università di ogni posto: oggi parte l'esperimento forse più avanzato che ha mai vissuto l'istruzione dai tempi di Socrate. L'obiettivo è insegnare a distanza, simultaneamente e gratis a tutti quelli che lo desiderano. Se funziona, nulla sarà più come prima.

Se funziona presto si avvererà lo scenario immaginato qualche giorno fa dall'ex direttore del New York Times Bill Keller sul suo blog: "I corsi saranno online e saranno votati dagli allievi come i libri su Amazon; l'insegnamento sarà organizzato con aste modello eBay; gli studenti invece del titolo di studio conquisteranno dei livelli di abilità come nei videogame. E presumibilmente, la birra del venerdì sera la prenderanno al Genius Bar della Apple".
Fermiamoci un attimo. Perché qui nessuno sta scherzando. Mentre gli studenti scendono in piazza per il diritto allo studio, una autentica rivoluzione didattica è in corso davvero, ed è più forte dell'ignoranza di certi ministri o dalla miopia di tanti politici che considerano l'istruzione un costo da tagliare e basta. Dopo aver stravolto i pilastri dell'industria culturale - dalla musica al cinema, dai libri ai giornali - , Internet sta ora attaccando il luogo dove batte il cuore del sapere da più di duemila anni: la scuola.
L'obiettivo finale è creare dei campus virtuali dove il sapere è distribuito in rete, i libri di testo si leggono gratuitamente sui tablet e le lezioni sono ribaltate rispetto a quanto siamo abituati a fare da due secoli: basta con discorsi fatti ex cathedra e compiti a casa. Meglio invece guardarsi a casa il video del prof tante volte quanto necessario a ciascuno di noi (visto che siamo tutti diversi, come ha spiegato il guru dell'istruzione Ken Robinson), e poi in classe si discute e si fanno gli esercizi.
La scintilla della rivoluzione si è accesa per caso. Se nel 2004 la piccola Nadia non avesse avuto problemi in matematica, il cugino Salman Khan non avrebbe iniziato a farle ripetizioni: solo che, visto che si trovavano in due città diverse degli Stati Uniti, Salman le sue lezioni le faceva via Yahoo! Messenger, un servizio di chat, mostrando le formule delle operazioni su un taccuino virtuale, Microsoft Paint.
Dopo un po' Nadia gli disse che preferiva un video, "perché posso rivedermelo se non ho capito qualcosa". E così il 16 novembre 2006 il cugino aprì un profilo su YouTube dove caricare le spiegazioni. Ora Salman non era un cugino qualsiasi: nato a New Orleans ma originario del Bangladesh, ha nel curriculum tre lauree al MIT di Boston e un master ad Harvard. Insomma è un mezzo genio. Anzi, leviamo il "mezzo". E così le sue clip per Nadia in rete sono diventate un cult: grazie a banali moduli scritti in Java, uno dei più noti linguaggi di programmazione, alla fine di ogni video di Khan ci sono delle batterie di domande, e solo se rispondi esattamente a tutte, sali ad un livello superiore e hai altre domande. Funziona come un videogame, praticamente, ma intanto Nadia imparava. E non solo lei.
In rete questi video furono subito un successo, al punto che Salman Khan dopo tre anni decise che quella sarebbe stata la sua vita: lasciò il posto di gestore di fondi finanziari ad alto rischio, ottenne un piccolo finanziamento da un venture capital di Silicon Valley e da quel giorno il suo canale lo ribattezzò "Kahn Academy". Ma la vera svolta doveva ancora arrivare: la scorsa estate dal palco del Festival delle Idee di Aspen, il fondatore di Microsoft Bill Gates in persona lodò il sito rivelando che i suoi figli lo usavano abitualmente. Per farla breve, Salman si è trovato con un milione e mezzo di dollari dalla Bill & Melinda Gates Foundation, seguiti da altri due milioni da Google (Google in questa storia è importante, poi vedremo perché).
Oggi la Kahn Academy è un colosso dell'istruzione primaria con 2600 video lezioni di storia, matematica, finanza e fisica; sulla homepage del sito ha un contatore che aggiorna quante lezioni ha già impartito (siamo vicini alla stratosferica cifra di 80 milioni). E si è data la missione di insegnarci "quello che vogliamo, quando lo vogliamo e al nostro ritmo di apprendimento". Piccola postilla: è tutto gratis.
Ma le sorprese non erano finite. Sei mesi fa a Long Beach si riuniscono un centinaio di cervelloni di tutto il mondo per l'annuale conferenza del TED. Bill Gates cura la sessione dedicata all'istruzione e sul palco porta Salman Khan naturalmente. In sala c'è un giovane tedesco sul quale da adesso punteremo i riflettori: si chiama Sebastian Thrun, ha 44 anni, gli occhi blu, è professore di informatica a Stanford dove guida il Laboratorio per l'Intelligenza Artificiale.
Thrun è al TED perché ha realizzato per Google il prototipo della auto che si guida da sola. Quando tocca a lui parlare spiega che la vettura ha già alle spalle 140 mila chilometri percorsi senza pilota per le strade della California e in sala molti hanno un brivido: "Aspetto con ansia il momento in cui le generazioni dopo di noi guarderanno indietro e diranno quanto fosse ridicolo il fatto che gli umani guidavano le auto". Ma poi Thrun ascolta il discorso di Salman Khan e decide di mettersi alle spalle le auto per dimostrare quanto sia ridicolo il fatto che l'istruzione di qualità, che è il presupposto indispensabile per immaginare un mondo migliore, sia così costosa e riservata a così poche persone.
Nasce così il corso di Stanford che parte oggi. Il professor Thrun non sarà solo. Al suo fianco c'è Peter Norvig, 55 anni, capelli bianchissimi, un set di camicie hawaiane indossate con disinvoltura, per molto tempo responsabile dei robot della Nasa e poi capo del settore ricerca di Google.
Ecco, Google ha un ruolo centrale perché saranno alcuni strumenti realizzati in collaborazione con il colosso informatico di Mountain View a rendere possibile la gestione di 140 mila studenti contemporaneamente: le loro domande e i compiti che ogni settimana avranno da fare per ottenere fra due mesi, se passeranno l'esame finale, un certificato di frequenza con un punteggio di valutazione. Non varrà come una laurea, quel pezzo di carta, ma le lezioni saranno le stesse di chi paga 50 mila dollari l'anno. C'è naturalmente un piccolo "problemino" che Thrun e Norvig non hanno ancora risolto: ovvero come impedire a qualcuno di fare i compiti al posto di un altro e quindi valutazione finali sballate. "Ma se supereremo questo ostacolo, l'istruzione cambierà per sempre".
Vedremo. Intanto stamattina suona la prima campanella. Naturalmente è il cinguettio di Twitter: "La prima lezione è stata caricata. Guardatela e poi ne riparliamo".

RICCARDO LUNA | La Repubblica

giovedì, ottobre 06, 2011

VENERDÌ 07 OTTOBRE 2011 || KIZOMBA ROMANA PRESENTA ||✮ KUDURO NIGHT ✮|| al Cafè Cretcheu.

KUDURO NIGHT IN ROMA

Una serata piena di sorprese e ballerini scatenati.
L'evento è imperdibile per gli amanti dell'afrosound: KIZOMBA VS ZOUK | KUDURO VS SALSA | DANCE VS SOUKUSS
=> Dalle 22:30 - Lezioni GRATIS di Kizomba
Si segue una serata di musica a 360°.
Il Cafè Cretcheu, in via Ancona 13, 00198 Rome - Piazza Fiume/Porta Pia
L'entrata è gratis.
Vieni a vedere!

KIZOMBA IN ROMA - ZOUK A ROMA