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mercoledì, marzo 30, 2011

Guerra in Libia: La legge del piombo fuso in un mondo senza padroni!?!

bombe francesi_americane_invasione_libia_war_for_oilIl piombo fuso per il petrolio

L’intervento occidentale in Libia segna l’inizio di una nuova epoca nei rapporti internazionali: l’uso spudorato della forza ovunque si profilano interessi energetici per le varie multinazionali che si alimentano di “sangue” dei popoli sotto dittature, o regimi non conniventi con l’Occidente. Tutto ciò avviene con il consueto beneplacito dell’ONU, che non è altro che l’espressione del potere economico e militare dei vincitori della II guerra mondiale. Per dirla: “abbiamo vinto la guerra mondiale, adesso governiamo il mondo come ci pare e come ci piace”. Da queste considerano troviamo alcune domande giuste da farsi: Fin quando durerà questa situazione? Quante guerre “umanitarie” vedremo ancora? Fin dove i nuovi poteri forti del mondo supporteranno l’Occidente? Perché la Cina, uno dei maggiori investitori in Libia non ha alzato la voce? Perché i paesi africani stanno tutti zitti? Quali sono le vere ragioni della guerra in Libia? Chi controlla la Corte penale internazionale? I soldi delle guerre perché non vengono investiti nei paesi poveri? Quanto contano i poteri forti occidentali (multinazionali, mafie, massonerie varie) nelle decisioni di guerre?

Dopo la guerra fredda tutti si aspettavano un mondo più pacifico perché sotto la “Pax Americana”, il vincitore della guerra fredda, ma così non è stato. L’America si è rivelata incapace di governare un mondo senza padroni, senza l’equilibrio del terrore. Un mondo dove crescono a dismisura varie bande dedicate alla vendita di armi e di “morte” ovunque si vuole. Nel giro di pochi anni abbiamo assistito guerre etniche senza precedenti, come è stata quella del Ruanda e poi quella dei Balcani. Sulla stessa scia, ma senza cause di divergenze etniche, l’Angola ha vissuto alcuni dei suoi peggiori anni con una guerra civile estesa in tutti gli angoli del paese, eventi che non avrebbero successo se non fosse caduto il muro di Berlino ed imploso l’Impero russo.

A ragion veduta, il caos nella relazione tra i paesi è frutto dell’assenza di un equilibrio che limita lo strapotere di alcuni sugli altri. Molte iniziative guerrafondaie che oggi vediamo non avrebbero luogo se ci fosse ancora l’equilibrio sopracitato. La mia non è una difesa della causa russa, ma sì un’analisi della realtà attuale dove vige la legge del più forte, il più forte comunque.

Non rimpiangiamo quella pace/armata ossia l’equilibrio del terrore, considerando che il contenimento delle due super-potenze era determinato da una possibile guerra atomica che avrebbe spazzato via tutto ciò che conosciamo di normale in questo mondo. Ma bisogna pur sottolineare quanto quell’equilibrio aiutò a lungo il mantenimento di un certo rispetto tra le nazioni. Nessuno decideva di bombardare un paese per libera iniziativa, così come, anche in presenza di un mandato ONU, l’azione era dosata secondo il leader della zona d’influenza. Così per più di cinquant’anni l’America e la Russia hanno mantenuto la “Pax nucleare”. Ma che pace…

Stiamo vivendo una situazione molto critica perché il mondo è cambiato ma gli l’Occidente continuare ad agire indisturbato come se nulla fosse successo. L’America/l’Occidente, come abbiamo appeno sottolineato, ha avuto la sua opportunità di guidare il mondo come unica super-potenza, ma i risultati sono stati catastrofici: incremento delle guerre di stampo etnico (dividere per meglio regnare), incremento del traffico di armi e di droga, interventi militari arbitrari ovunque si profilavano guadagni, apertura di nuove basi militari a bene o male, etc. Per meglio sfruttare il proprio potere, l’Occidente ha accelerato i processi di globalizzazione, un meccanismo che ha permesso alle multinazionali di meglio sfruttare la mano d’opera quasi gratuita e le risorse naturali di molti paesi poveri. Questo processo ha portato molti paesi alla banca rotta così come ha aumentato le disuguaglianze in tutte le parti del mondo, compreso in Occidente. L’economia ha preso in mano la politica ed ogni iniziativa internazionale cominciò ad essere improntata secondo quanto si guadagnava.

Così, i suddetti processi di globalizzazione (conseguenza positiva) hanno contribuito anche alla nascita di nuovi soggetti internazionali, nuovi centri di potere, portando il mondo ad una situazione di è multipolarità, ma purtroppo l’Occidente continua ad agire come se niente fosse cambiato. Nel nuovo panorama mondiale ci sono i BRIC: c’è la Cina, che da sola produce beni per quasi tutto il mondo, c’è l’India, c’è il Brasile e c’è la vecchia Russia, che stenta a camminare, ma continua un paese importante nello scenario internazionale visto che ha in suo possesso una quantità enorme di bombe atomiche sufficienti per distruggere la metà del pianeta. Ci auguriamo che presto le potenze tornino a parlarsi ed imporre maggiore serietà nei rapporti internazionali, con la conseguenza di maggiore attenzione ai veri interessi di ogni popolo: vera democrazia, benessere sostenibile ed vita lunga e felice.

L’intervento militare dell’Occidente in Libia ha trasformato l’essenza dei BRIC da entità economica ad alternativa politica dell’occidente. Il cambiamento è avvenuto in sede ONU, nell’ambito del Consiglio di Sicurezza, dove i BRIC si sono astenuti di votare la risoluzione presentata dalla Francia chiedendo l’intervento militare in Libia. I quattro hanno presentato le proprie perplessità e chiesto all’ONU perché l’intervento dell’Occidente non si trasformi in opportunità di depredazione delle risorse petrolifere libiche, nonché l’eliminazione fisica di Gheddafi. Guarda caso è proprio questo l’intento dell’intervento.

Di Barack Obama non spendo più di due righe: ha deluso. Si è lasciato intimidire dalla Multinazionali e dei poteri forti. si è bruciato prima di cominciare.

Uno dei grandi assenti in questa guerra, se non il principale, è l’Unione africana. Quest’ultima, super dipendente dai soldi del governo di Gheddafi per gli assunti africani – Cfr. finanziamenti per le truppe dell’UA in Somalia e in Sudan -, non riesci ad imporre una propria linea (cessate il fuoco e negoziazione). Da una parte molti paesi africani continuano a dipendere vergognosamente da Parigi, e dell’altra molti governi sono costituiti da uomini incapaci di distinguere gli assunti interni di ogni paesi, quelli regionali e quelli internazionali. Insieme all’ONU, anche l’Unione africana ha bisogno di ripensare il proprio futuro.

lunedì, marzo 28, 2011

L’FMI riconosce il forte sviluppo della Libia il giorno prima della ribellione di Bengasi (Leggere!)

Il Consiglio d'Amministrazione del FMI conclude la Consultazione dell'Articolo IV per il 2010 con la Jamahiriya Araba Libica del Popolo Socialista

Bollettino d'Informazione Pubblica (PIN) No. 11 /23, 15 febbraio 2011

I Bollettini di Pubblica Informazione (PIN)
fanno parte degli sforzi del FMI per promuovere la trasparenza dei punti di vista e delle analisi dello sviluppo e delle politiche economiche del fondo.

Con il consenso del paese (o dei paesi) coinvolti, i bollettini sono pubblicati dopo una discussione del Consiglio d'Amministrazione sulle consultazioni riguardo l'Articolo IV con gli stati membri, sulla loro sorveglianza dello sviluppo a livello regionale, sul monitoraggio successivo e le successive valutazioni dei paesi membri con gli accordi di programma a lungo termine. I bollettini sono inoltre redatti dopo discussioni del Consiglio d'Amministrazione su materie di interesse generale, a meno che non sia stato diversamente deciso in casi particolari dal Consiglio stesso.

Il 9 febbraio 2011 il Consiglio Direttivo del Fondo Monetario Internazionale ha terminato le consultazioni sull'articolo IV con la Jamahiriya Araba Libica del Popolo Socialista.1

Sguardo d'insieme
La crescita non dovuta agli idrocarburi è stata solida, rispetto a una decrescita della domanda interna. E' cresciuta di una stima del 6% nel 2009, dovuta principalmente agli investimenti in infrastrutture e servizi. Nel frattempo, l'offerta di idrocarburi è calata in modo significativo a causa dell'adesione alle quote OPEC, il che ha provocato una contrazione del Prodotto Interno Lordo per una stima dell'1,6%. La crescita complessiva si è attesta a circa il 10%, in conseguenza di un forte incremento nella produzione di petrolio. La crescita non dovuta agli idrocarburi si è inoltre rinforzata (per circa il 7%) come risultato di una forte spesa pubblica. Comunque, la disoccupazione è rimasta elevata, particolarmente tra i giovani. L'inflazione si stima che abbia raggiunto un picco del 4,5% nel 2010, mentre le maggiori entrate fiscali petrolifere hanno aumentato la liquidità interna e sono anche aumentati i prezzi delle materie prime.
Dopo un elevato declino del 2009, il surplus fiscale si stima che sia cresciuto nel 2010, principalmente per l'incremento delle entrate legate al petrolio. Il surplus fiscale si è ridotto di circa il 7% del PIL nel 2009 come risultato di un rapido declino nelle entrate fiscali petrolifere più che per una riduzione della spesa pubblica. Quest'ultima è dovuta a un forte calo nella spesa in conto capitale e a un minore incremento nelle uscite correnti. Nel 2010, la spesa corrente è incrementata per una stima del 19% rispetto al 2009, principalmente a causa di sussidi energetici e da un 15% di incremento degli stipendi. La privatizzazione in corso dei progetti d'investimento ha permesso un incremento nella spesa capitale per circa un 18%.
Il surplus dei conti con l'estero è aumentato nel 2010 per circa il 20% del PIL contro il 16% registrato nel 2009. Le entrate per le esportazioni sono rimbalzate in linea con l'incremento della produzione e dei prezzi. Le importazioni, anche se aumentate per una forte domanda interna, sono rimaste più stabili e sono ancora circa un terzo delle esportazioni. Gli investimenti all'estero della Banca Centrale Libica (CBL) e dell'Autorità degli Investimenti Libici (LIA) si stima che abbiano raggiunto 150 miliardi di $ alla fine del 2010 (l'equivalente di circa il 160% del PIL).
La massa monetaria è cresciuta di circa il 10% nel 2010, rispetto all'11% del 2009. I prestiti delle banche commerciali al settore privato e alle iniziative pubbliche di tipo non finanziario sono state ridotte dalla mancanza di adeguata documentazione da parte dei richiedenti, da una stretta alle regolamentazioni e da un'alta liquidità del settore pubblico. La domanda di quest'ultimo di servizi bancari è stata fortemente limitata da lettere di credito e da fideiussioni. L'eccesso di liquidità è rimasto alto nel sistema bancario e l'intermediazione finanziaria è debole rispetto agli Stati vicini.
Un programma ambizioso di privatizzazione bancaria e di sviluppo del nascente settore finanziario è in corso d'opera. Le banche sono state parzialmente privatizzate, i tassi di interesse liberalizzati, e la competizione incoraggiata. Gli sforzi sostenuti per ristrutturare e modernizzare la Banca Centrale Libica sono tuttora in corso con l'assistenza del Fondo. I mercati finanziari e quello dei capitali, comunque, sono ancora sottosviluppati con un ruolo molto limitato nell'economia. Non c'è mercato per il debito privato e del governo e gli scambi con l'estero sono limitati.
Le riforme strutturali in altri campi hanno fatto progressi. Sono state approvate nel primo periodo del 2010 un numero di leggi ambiziose per incoraggiare lo sviluppo del settore privato, e per attrarre investimenti dall'estero. Il successo delle nuove leggi, comunque, è affidato alla promozione di una coordinazione tra le agenzie e di un'aperta consultazione tra il corpo legislativo e i gruppi d'affari, al fine di formare organismi permanenti per monitorare, valutare e supervisionare l'implementazione. Una forte riforma è necessaria per distribuire stipendi più adeguati e per fare in modo che le politiche del lavoro siano indirizzate ai bisogni di una forza lavoro giovane e numericamente crescente.
I recenti sviluppi nei vicini Egitto e Tunisia hanno avuto un impatto limitato sulla Libia fino a questo punto. Per compensare l'impatto dell'incremento dei prezzi dei generi alimentari, il governo ha abolito, il 16 gennaio, le tasse e i dazi doganali sulle derrate prodotte e importate. Successivamente, in Gennaio, il governo ha inoltre annunciato la creazione di un cospicuo fondo plurimiliardario per gli investimenti e lo sviluppo locale che sarà focalizzato nel fornire abitazioni alla popolazione in crescita.

Valutazioni del Consiglio d'Amministrazione

I componenti del Consiglio sono d'accordo con il senso delle valutazioni dello staff. Si sono complimentati per la buona performance macroeconomica della Libia e il progresso nel rafforzare il ruolo del settore privato nel sostenere la crescita non dovuta al petrolio. Il bilancio fiscale e quello del commercio estero rimangono in sostanziale surplus e ci si aspetta che si rafforzino nel medio termine; la previsione per il futuro dell'economia libica rimane favorevole. I membri del Consiglio considerano che il bisogno di fornire adeguate opportunità di lavoro a una forza lavoro giovane e numericamente crescente sia la sfida principale, oltre alla rapida implementazione delle riforme per diversificare l'economia e ridurre la dipendenza dalle entrate petrolifere.
I componenti del Consiglio sostengono la politica fiscale e evidenziano che l'incremento nella spesa in conto capitale nel 2010 sosterrà lo sviluppo del settore privato. Allo stesso tempo, enfatizzano il bisogno di contenere l'incremento nella spesa corrente e di assicurare la qualità della spesa. I componenti incoraggiano inoltre le autorità a forgiare politiche fiscali nel medio termine per minimizzare l'impatto della volatilità dei prezzi.
I componenti lodano gli sforzi per rafforzare il management finanziario pubblico, includendo una nuova e semplificata legge fiscale e un'effettiva unificazione dei budget correnti e degli investimenti. Incoraggiano le autorità a proseguire con i loro progetti per la stabilizzazione dei conti del Tesoro, a migliorare la consistenza della classificazione del budget e a stabilire procedure più snelle per migliorare le politiche di spesa. Questi passi faciliteranno anche il coordinamento delle politiche fiscali e monetarie.
I componenti plaudono all'emissione da parte della Banca Centrale Libica (CBL) di un nuovo certificato di deposito a 28 giorni e all'introduzione di una overnight facility come strumenti per rafforzare il quadro delle politiche monetarie. Hanno evidenziato l'importanza di occuparsi dei fattori che creano un largo eccesso di liquidità nel sistema bancario, anche stabilizzando i conti del Tesoro e riformando le Istituzioni di Credito Specializzato (SCI) con l'obbiettivo di ridurre le loro attività on-lending e di abbreviare le allocazioni del budget. I componenti sostengono le autorità nel proseguire nel rafforzamento della supervisione bancaria, concentrandosi su una coordinazione rafforzata tra le unità di controllo interne ed esterne.
I componenti concordano che l'aggancio del dinaro allo Special Drawing Rights (SDR) sia ancora appropriato nel fornire un forte ancoraggio monetario. Segnalano che le asserzioni dello staff indicano come il tasso di cambio del dinaro sia ampiamente allineato con i fondamentali.
I componenti danno il benvenuto all'approvazione della legge sull'Autorità degli Investimenti Libica, la quale rafforza la sua cornice regolamentaria e operativa. Mentre riconoscono il ruolo che i fondi d'investimento hanno giocato nella strategia di diversificazione in Libia, i componenti denotano che i fondi d'investimento fuori dal budget possono complicare le politiche della spesa pubblica. Sarebbe inoltre importante assicurare che il coinvolgimento della Banca Centrale Libica con questi fondi non entri in conflitto con gli obbiettivi di politica monetaria.
I componenti incoraggiano le autorità nell'avanzare riforme strutturali per sostenere lo sviluppo del settore privato. Si congratulano con le autorità per i loro ambiziosi piani di riforma, e sono interessati all'effettiva implementazione delle molte importanti leggi promulgate l'anno passato, abbinate a politiche utili ad adattare la forza lavoro alla trasformazione economica.
I componenti incoraggiano le autorità nel continuare a migliorare le statistiche finanziarie ed economiche.

Sources: Libyan authorities; and IMF staff estimates and projections.

1 The 2010 data are for end-July.

2 The 2010 data are for November.

Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23928
24.03.2011
Trad. Comedonchisciotte.org
A cura di SUPERVICE

1 Sotto l'Articolo IV degli Articoli di Accordo del FMI, il fondo tiene un tavolo di lavoro bilaterale con i paesi membri, generalmente ogni anno. Un gruppo di lavoro visita il paese, raccoglie informazione finanziarie e economiche e discute con i rappresentanti del paese le politiche e lo sviluppo economico. Una volta ritornato, lo staff prepara un resoconto, che forma la base per la discussione del Consiglio d'Amministrazione. Al termine della discussione, il Presidente, in quanto Direttore dell'Assemblea, riassume i punti di vista dei membri del Consiglio e questo sommario viene trasmesso alle autorità del paese. Una spiegazione per un suo uso adeguato può essere trovata qui: http://www.imf.org/external/np/sec/misc/qualifiers.htm..Global Research Articles by IMFA

Il crimine organizzato, la spina dorsale del nuovo ordine mondiale

Negli ultimi dodici anni, dall'aggressione della NATO all'ex-Yugoslavia, non è la prima volta che siamo testimoni di un intervento internazionale che ha come obbiettivo uno stato sovrano, sotto l'egida nelle Nazioni Unite e con le parole d'ordine 'democrazia' e 'diritti umani'. Il controllo del caos non è una strategia recente e le leggi internazionali sono oramai defunte da lungo tempo. Nel marzo del 1999, la NATO bombardò Belgrado, Pristina e altre città della ex-Jugoslavia, il paese che per primo ha sperimentato i test del nuovo corso degli eventi durante gli anni '90.
In effetti, il concetto di caos dei sistemi dinamici è vecchio di circa quarant' anni.
Deriva dagli studi matematici, ma è poi trapelato persino negli scritti di Z. Brzezinski che videro la luce del giugno negli anni '70 e definirono la direzione da intraprendere per la costruzione del nuovo ordine mondiale per i decenni a venire.
Le motivazioni pragmatiche costituiscono la struttura delle applicazioni della teoria del caso, all'interno dei sistemi deterministici in almeno il 90% dei casi, anche non considerando il fatto che questa è in realtà una reincarnazione della strategia del divide et impera, che ha lo scopo di minare la sovranità nazionale, di prendere il controllo delle risorse naturali (in primo luogo, quelle energetiche ma anche le competenze tecnologiche) dei paesi indipendenti, e di dare supporto agli architetti del nuovo ordine mondiale per rafforzare le loro posizioni, usando il potenziale delle regioni poste sotto il loro controllo.
Le quattro missioni NATO di 'peace-keeping' nel periodo di tempio iniziato nel 1999, quelle in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e Libia, ci forniscono abbastanza materiale per comprendere cosa hanno in comune queste offensive nei termini delle implicazioni politiche internazionali.
Per prima cosa, tutte le campagne simili hanno lo scopo di dare alla NATO il controllo sui territori e sulle risorse naturali, con l'appoggio dello schieramento dei media. Le vittime delle aggressioni sono demonizzate e ritratte come nemici della civilizzazione e dell'umanità mentre, al contrario, le aggressioni sono spacciate all'opinione pubblica - la cui stretta visuale è limitata dagli schermi televisivi e dai monitor dei computer - come atti di giustizia.
In secondo luogo, le provocazioni dei gruppi estremisti o separatisti e quella dei cartelli della droga aiutano a costruire le basi della narrazione per le campagne di propaganda. La connessione tra il crimine organizzato legato al traffico degli stupefacenti e le aggressioni della NATO può sembrare paradossale, ma molti dei paesi che sono stati vittima di attacchi da parte della NATO sono tutti attraversati da importanti rotte di smercio, o sono conosciuti per essere tra le centrali di traffico della droga. Ad esempio, l'Afghanistan e l' Iraq erano annoverati tra i maggiori produttori al mondo di hashish, marijuana e eroina, e il Kosovo albanese come entità etnica esisteva in larga parte grazie a un enorme clan mafioso, il cui leader H. Thaci, un 'signore della droga' convertitosi in primo ministro di uno stato che si è auto-proclamato, era la figura-chiave nel business degli stupefacenti in Europa.

Mappa delle rotte-chiave nel traffico mondiale degli stupefacenti

La connessione tra i presunti combattenti per la libertà etnico-religiosa e i membri dei cartelli della droga, anche se spesso si tratta delle stesse persone, è un segreto di Pulcinella. V. Ivanov, il capo dell'agenzia per il contrasto alla droga in Russia, ha sottolineato, durante un incontro con i media avuto a Roma il 2 marzo del 2011, che oltre a minare la salute e l'ordine pubblico, il traffico di droga contribuisce anche alla destabilizzazione politica e comporta quindi una tutta una serie di conseguenze alle rispettive società. Ha anche aggiunto che ci sono informazioni sul fatto che il traffico di droga sia la causa principale di proliferazione del crimine organizzato e di rivolta in Nigeria, Costa d'Avorio, Algeria, Tunisia, Libia e Egitto.
Seguendo V. Ivanov, la recente rivoluzione, in alcuni dei summenzionati paesi, si deve di fatto attribuire al crimine organizzato legato agli stupefacenti. In terzo luogo, la tendenza va nella direzione di costruire giustificazioni ai miti diffusi dai media, e i servizi di intelligence, strumenti della governance globale, pubblicano con prontezza relazioni di supporto per l'attacco ai regimi non allineati. Dopo di che, i paesi intenzionati a sostenere il nuovo ordine mondiale – confidando nella loro assoluta superiorità militare e quindi senza alcun rischio – sono liberi di devastare le infrastrutture militari e civili dei paesi-vittima. Nel processo, la conta delle morti dei civili supera di molto quella dei membri dei gruppi criminali, che fanno mostra di sé quali combattenti per la libertà. In quarto luogo, i paesi costretti a capitolare diventano quasi sempre preda dei 'cartelli' del traffico della droga. I rappresentanti dei trafficanti e dei gruppi separatisti, che fin dall'inizio scatenano la tensione, o le persone legate a gruppi di pressione esteri vengono così supportati nei paesi sconfitti per imporre nuovi standard apparentemente democratici, dove poi ricopriranno incarichi nella burocrazia post-bellica in modo che le loro risorse tecnologiche e naturali vengano così cedute alle corporation multinazionali. Le popolazioni degli stati in precedenza sovrani si trovano privati di tutte le fonti di sviluppo socioeconomico e si convertono in materiale umano pronto per essere usato dalle mafie. Con la supervisione della NATO, i paesi prendono le sembianze di stati in mano ai gangster, dove la popolazione è divisa tra scagnozzi dei gruppi criminali e servi, vittime e schiavi della criminalità organizzata.
La situazione nei regimi instaurati dalla NATO, con leader fantoccio, guerre di mafia oltre al totale disprezzo dei diritti umani, è simile a quelle già vista nelle colonie. Diffondendo una versione edulcorata, i media hanno comunque fornito una vasta testimonianza a riguardo: le forze USA hanno, secondo quanto riferito, umiliato gli iracheni e gli afgani, i velivoli NATO hanno deliberatamente bombardato i villaggi locali nelle zone di combattimento, i prigionieri hanno dovuto affrontare molestie sessuali e il centro diretto da Thaci per l'estrazione forzata degli organi da mettere in vendita in Europa e negli USA è stato realizzato nel mezzo dell'Europa stessa. Questi processi aiutano gli architetti del nuovo ordine mondiale nell'accumulare valore e a mettere in atto i programmi di riduzione della popolazione, ma questi scopi sono ancora marginali alle loro strategie. Ovviamente, la reale priorità è quella di allargare le zone soggette al 'controllo del caos' per coinvolgere tutto il mondo globalizzato. Nel lungo termine, questo caos dovrebbe condurre a una ridistribuzione del mondo in linea con un modello socioeconomico dalla concezione astratta.
Le rivoluzioni che hanno sconvolto il Nord Africa e il Medio Oriente nel gennaio-marzo del 2011 dovevano avere lo scopo di creare una cintura di caos perenne che si spandesse dall'Afghanistan al Marocco (per il momento, la Libia, che mette resistenza all'aggressione della NATO, e l'Iran, un paese che non svenderà la propria sovranità nazionale, stanno contrastando la realizzazione del piano). In aggiunta a questi manifesti obbiettivi geopolitici, quali la formazione di una testa di ponte strategica dalla quale l'intera Eurasia e il Nord Africa avranno la pistola puntata così come la formazione di un monopolio per la formazione dei prezzi dell'energia, capace di provocare arbitrariamente o di far cessare crisi globali, il proposito di questo disegno geopolitico era quello di disseminare il caos, principalmente nei paesi europei, indirizzando verso di loro un sempre maggiore flusso di migranti e di droga.
E' improbabile che la miscela risultante raggiungerà una concentrazione esplosiva nel futuro prossimo, ma le tensioni etniche che stanno montando in Germania e in Francia e le sue conseguenze socioeconomiche promettono già un collasso generalizzato. Senza ombra di dubbio, l'ora del regolamento dei conti nella vecchia Europa arriverà un giorno o l'altro, anche se, al momento, gli architetti si stanno preoccupando di paesi più vulnerabili, quali la Siria, l'Iran e il Venezuela. L'Iran è il primo obbiettivo scelto per essere il candidato di rivolte preventive guidate dal caos, essendo anche lo stato che ha osato esprimere la propria opposizione alla politica israeliana, oltre ad costituire un'interruzione nella zona soggetta al crimine che si estende dall'Afghanistan al Marocco e a combattere in modo deciso il traffico di stupefacenti.
In Iran, una guerra con i propositi dell'esportazione della democrazia è imminente.
La ragione in parte risiede nel fatto che le recenti rivoluzioni nel mondo arabo hanno lasciato Teheran a corto di alleati e hanno rafforzato la posizione di Israele, ma va anche considerato che la guerra contro l'Iran nel mondo virtuale è già stata scatenata e, nei piani della NATO, questo paese è il prossimo della lista dopo la Libia (o dopo Libia e Siria).
La domanda finale è: come il banditismo si può evolvere nella colonna portante del presente geopolitico e come può il crimine organizzato, con i suoi gruppi armati, emergere come lo strumento preminente del nuovo ordine mondiale? La risposta è semplice: la misinterpretazione di un modello preso a prestito dai matematici, e applicato con successo come fondamento per una valutazione socioeconomica, è servito a trasformare una parte dell'umanità in un'organizzazione diffusa che è strutturalmente analoga alla mafia tradizionale. Le similitudini nella struttura stessa fanno da contraltare alla comunanza di forme, principi, metodi e algoritmi. Le implicazioni per il mondo intero non sono difficili da comprendere.

Goordeev Kostantin
Fonte: www.strategic-culture.org
26.03.2011
Trad. Comedonchisciotte.org

giovedì, marzo 24, 2011

Libia ovvero il fallimento di Obama, dell’Onu e della nobiltà della politica

So che questo contributo susciterà diverse critiche o, comunque, alimenterà una discussione che mi auguro costruttiva, propositiva. Non avrei potuto, d’altronde, esimermi dall’esprimere la mia più netta e convinta contrarietà all’ennesimo ricorso alla scelta bellicista come modo risolutivo di controversie interne ed esterne agli stati.

E’ ora di dire basta e di riconoscere il fallimento dell’Onu, di questa Onu delle burocrazie e dei tornaconti economici, dimostratasi ancora una volta completamente inadeguata ad affrontare seriamente la gravità della situazione prodottasi, ma anche prevedibile, e nei fatti nuovamente aggirata e raggirata dagli Stati Uniti e dalla Nato.

Non sono mai stato e non sono antiamericano. Anzi, è proprio vero il contrario, dal momento che considero gli U.S.A. un sicuro punto di riferimento politico. Se fossi, però, componente della commissione che ha assegnato il Nobel per la pace a Barack Obama mi premurerei di revocargli immediatamente quel prestigioso riconoscimento. Se penso che Gandhi, il Mahatma Gandhi, l’assertore più tenace della nonviolenza nel secolo scorso, nonostante fosse stato candidato per ben cinque volte al Nobel tra il 1937 e il 1948, anno della sua uccisione, non lo ricevette mai mentre Barack Obama sì, non si sa per quali meriti, e sicuramente per il colore della sua pelle (quindi, diciamolo pure, per una forma di razzismo inverso), essendo il primo americano nero a raggiungere la Casa Bianca, sono assalito da indignazione.

Lo scrivo da obamiano convinto, da fervente sostenitore del presidente rimasto, devo dirlo con chiarezza, fortemente deluso dalla sua politica, soprattutto da come finora si è mosso, in maniera ondivaga e inconcludente, sulle vicende internazionali. Spero che si riscatti. Lo auguro a lui e a noi che in lui abbiamo riposto più di una speranza.

Qualcuno dovrà spiegarmi dove e come il democratico Barack Obama sia riuscito a differenziarsi radicalmente, in politica estera, dal suo predecessore, da quel George W. Bush cui va imputato, insieme al laburista inglese Tony Blair, il disastroso e nient’affatto risolutivo intervento in Iraq, così come d’altronde quello in Afghanistan.

No. Non ci sto. Non voglio starci. Sarà difficile che qualcuno riesca a convincermi che gli USA e la Nato siano stati animati, nel caso dell’intervento (“missione di pace” come oggi si chiamano le prove di forza armata e le devastazioni) in Libia, unicamente da motivazioni d’ordine “umanitario”, dal sostegno ai democratici giustamente insorti contro un criminale dittatore, un assassino patentato come Muammar Gheddafi, cui il nostro capo di governo, nella sua mediocrità e pusillanimità, ha addirittura baciato le mani, mani grondanti sangue, sottoponendosi a pubblica umiliazione nonché all’affronto di inchinarsi davanti a chi provocatoriamente gli ostentava le foto, incollate sulla giacca, di presunti martiri libici durante il breve periodo della colonizzazione italiana. E’ impossibile da parte mia accettare un distinguo.

Come mai si è tanto tempestivi nell’appoggiare con le armi e con le bombe i ribelli libici mentre non si è levato un dito, dico un dito, per il genocidio che non mi risulta si sia affatto estinto in Darfur? Nulla da dire su un altro genocidio, sempre in Africa, come quello in Uganda? Come mai non si è adoperato lo stesso metro di giudizio nei confronti dei tibetani, massacrati, ripeto massacrati, dalla furia omicida del governo di Pechino (a distanza di tre anni continuano ad essere comminate pene capitali per i fatti di Lhasa del 2008) con cui le amministrazioni di mezzo mondo continuano, anzi, a banchettare e stringere accordi economici (USA in testa)? E che dire della situazione, non certo rosea, idilliaca, nel Sudest asiatico, in quella parte del pianeta che non molto tempo fa si usava chiamare Indocina (Vietnam, Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia) e che continua ad essere teatro di sopraffazioni, violenze, da parte di regimi dittatoriali e corrotti? E davanti alle provocazioni della Corea del Nord chiudiamo gli occhi e ci tappiamo le orecchie? Vogliamo passare in rassegna luoghi e tensioni? Quante e quali altre guerre, di questo passo, avremmo dovuto sostenere? Se in ogni circostanza fosse prevalsa la (il)logica, o, meglio, la follia, dell’intervento “a fin di bene”, del “bombardamento umanitario”, noi non ci saremmo da un pezzo, ridotti tutti a poltiglia e maceria. Ma, allora, su quali basi e pretesti (o pretestuose basi) si privilegia l’azione in un territorio anziché su un altro? E qual è la funzione dell’Onu se non meramente decorativa?

Se le cose stanno così non sarebbe più sensato chiudere del tutto l’Onu, per incapacità e indegnità, per sostituirla con un organismo più autorevole, magari da ipotizzare e realizzare? E, ancora, mi chiedo cosa abbiano prodotto di significativo e di tanto innovativo le guerre in Afghanistan e Iraq, al di là di morti, moncherini, zoppi, orfani, affamati, di ecosistema sconvolto, di altre specie animali (non se ne parla mai) distrutte? Ha forse risolto qualcosa la corda stretta al collo del feroce Saddam? Non mi pare che in quei luoghi non ci siano più attentati, che i fondamentalisti siano scomparsi, le donne siano rispettate e possano circolare senza burqa, la democrazia si sia pienamente affermata. No, la guerra non è la soluzione. Non può esserlo. L’averla scelta significa solo che Obama ha fallito, gravemente, drammaticamente fallito, così come, d’altronde, l’Onu e, più in generale, la politica nel senso più alto, nobile, del termine. E con loro abbiamo fallito tutti noi.

Di Francesco Pullia | Radicale

Libia/Guerra: Pensieri “occidentali” sulla guerra… (da vedere)

zaratustra-23-segreti della guerra in libia

Non c’è niente di morale nell’intervento NATO in Libia, The Guardian

guerra in libia - occidente petrolio e gas libico E’ come un vizio che non riescono a togliersi. Ancora una volta gli Stati Uniti, gli inglesi e altre forze Nato stanno bombardando un paese arabo con missili cruise e bombe che devastano bunker. Sia David Cameron che Barack Obama insistono che non è come in Iraq. Non ci sarà occupazione. L’attacco ha il solo scopo di proteggere i civili.

Ma otto anni dopo aver lanciato la loro devastazione “shock-and-awe” ["colpisci e stupisci", altresì nota come operazione "dominio rapido". NdT] di Baghdad e a meno di un decennio dall’invasione dell’Afghanistan, le stesse forze sono ancora una volta in azione contro un altro stato musulmano, incenerendo soldati e carro armati sul terreno e uccidendo civili nel farlo.

Sostenuti da una schiera di altri stati NATO, che hanno quasi tutti preso parte alle occupazioni di Iraq e Afghanistan, gli USA, la Gran Bretagna e la Francia si nascondono dietro a una foglia di fico araba, che ha la forma dell’aviazione del Qatar (che peraltro deve ancora arrivare),  per dare una qualche credibilità “regionale” al loro intervento in Libia.

Come in Iraq e Afghanistan, insistono che al centro dell’intervento ci sono motivi umanitari. E come nei due precedenti interventi, i media abbaiano per il sangue di un leader villano che è ormai una pantomima, mentre il cambio di regime sta rapidamente rimpiazzando l’obiettivo dichiarato della missione. Solo un solipsismo occidentale che considera normale invadere routinariamente il paese di altri popoli in nome dei diritti umani protegge i governi Nato da una sfida seria.
Ma la campagna sta già cadendo in pezzi. L’opinione pubblica si sta ribellando al massacro: negli USA, un cittadino su due si dice contrario all’intervento; in Inghilterra il 43 percento dice di essere contrario all’intervento  a fronte di un 35 percento che si dice d’accordo – un livello di malcontento senza precedenti per i primi giorni di una campagna militare inglese, compresa quella in Iraq.

Sul terreno, gli attacchi occidentali sono stati un fallimento visto che non hanno fermato la battaglia e le uccisioni, né hanno sottomesso le forze del colonnello Gheddafi; i governi NATO si stanno azzuffando su chi deve essere a capo dell’intervento; i ministri e generali inglesi si sono divisi sul fatto che Gheddafi sia o meno un obiettivo legittimo.

La settimana scorsa i governi NATO hanno rivendicato il sostegno della “comunità internazionale” grazie alla risoluzione ONU e a un appello della Lega Araba dominata dai dittatori. Al contrario, India, Russia, Cina, Brasile e Germania si sono rifiutati di sostenere la risoluzione dell’ONU e adesso criticano o denunciano i bombardamenti – come hanno fatto anche l’Unione Africana e la stessa Lega Araba. Come sostenuto dal suo segretario generale Amr Moussa, il bombardamento chiaramente è andato oltre gli obiettivi della no-fly zone. Attaccando le truppe del regime che stanno combattendo le forze ribelli a terra, i governi NATO stanno inequivocabilmente intervenendo in una guerra civile, spostando l’ago della bilancia in favore dell’insurrezione di stanza a Bengasi.

Cameron ha ribadito lunedì alla Camera dei Comuni che gli attacchi via aria e mare sulla Libia hanno impedito un “sanguinoso massacro a Bengasi”. La prova principale di questo massacro evitato è stata la minaccia di Gheddafi di non avere “pietà” nei confronti dei ribelli che si rifiutano di deporre le armi e di “cercarli casa per casa”. In realtà, nonostante tutta la brutalità del leader libico e la sua retorica stile Saddam Hussein, Gheddafi non era nella condizione di portare avanti la sua minaccia.

Considerato che le sue forze sgangherate non sono state in grado di riprendere città come Misurata o anche Ajdabiya quando i ribelli erano in ritirata, l’idea che sarebbero state in grado di catturare con rapidità una città di 70 mila persone arrabbiate e ostili sembra poco verosimile.

Ma dall’altra parte del mondo arabo, nel Bahrain armato dall’occidente, le forze di sicurezza stanno in questo momento portando avanti raid notturni contro gli attivisti dell’opposizione, casa per casa, e di decine di loro non si hanno più notizie mentre la dinastia di despoti continua a schiacciare nel sangue il movimento democratico. Venerdì scorso più di 50 manifestanti pacifici sono stati uccisi per le strade di Sana’a dalle forze governative dello Yemen sostenuto dall’occidente.

Lungi dall’imporre una no-fly zone per piegare il bellicoso regime yemenita, le forze speciali USA stanno operando nel paese a sostegno del governo.  Ma del resto, gli USA, gli inglesi e le altre forze NATO sono loro stesse responsabili di centinaia di migliaia di morti in Iraq e Afghanistan. La scorsa settimana più di 40 civili sono stati uccisi dall’attacco di un drone statunitense in Pakistan, mentre più di 60 sono morti in Afghanistan in un attacco aereo USA.

Il punto è che non solo l’intervento occidentale è volgarmente ipocrita. Il fatto è che i doppi standard (due pesi e due misure) sono parte integrale di un meccanismo di potere globale e dominio che reprime ogni speranza di un sistema internazionale credibile di protezione dei diritti umani.

Interventi umanitari a la carte, come questo in Libia, non sono certo basati sulla fattibilità o sul livello di sofferenza o repressione. Quello che interessa è sapere se il regime in questione è un affidabile alleato o meno. Ecco perché la dichiarazione che i despoti arabi sarebbero meno propensi a seguire l’esempio repressivo di Gheddafi come conseguenza di un intervento NATO è totalmente infondata. Stati come l’Arabia Saudita sanno molto bene di non correre il minimo rischio di diventare possibili obiettivi dell’occidente. A meno che non siano in pericolo di collassare.

Lungi dall’imporre una no-fly zone per piegare il bellicoso regime yemenita, le forze speciali USA stanno operando nel paese a sostegno del governo.  Ma del resto, gli USA, gli inglesi e le altre forze Nato sono loro stesse responsabili di centinaia di migliaia di morti in Iraq e Afghanistan. La scorsa settimana più di 40 civili sono stati uccisi dall’attacco di un drone statunitense in Pakistan, mentre più di 60 sono morti in Afghanistan in un attacco aereo USA.

Il punto è che non solo l’intervento occidentale è volgarmente ipocrita. Il fatto è che i doppi standard (due pesi e due misure) sono parte integrale di un meccanismo di potere globale e dominio che reprime ogni speranza di un sistema internazionale credibile di protezione dei diritti umani.

Interventi umanitari a la carte, come questo in Libia, non sono certo basati sulla fattibilità o sul livello di sofferenza o repressione, ma su quanto il regime che li porta avanti sia un affidabile alleato. Ecco perché la dichiarazione che i despoti arabi sarebbero meno disposti a seguire l’esempio repressivo di Gheddafi come conseguenza di un intervento Nato è totalmente infondata. Stati come l’Arabia Saudita sanno molto bene di non correre il minimo rischio di diventare possibili obiettivi dell’occidente, a meno di essere in pericolo di collassare.

Seumas Milne, The Guardian | Via il Manifesto

martedì, marzo 22, 2011

Libia/Guerra: Il trucco libico; Capire la guerra occidentale in Libia

la guerra di Obama e sarkozy - il petrolio nelle venne

Se ho capito bene, le cose stanno così.

In Libia, c’è un governo.

A me, questo governo non ha mai fatto particolare simpatia, perché conosco storie non belle di migranti che sono passati per quel paese, e perché comunque un governo dopo quarant’anni al potere inizia sempre ad andare a male. Inoltre, da traduttore, ho spesso a che fare con chi lavora in Libia, e ho raccolto molte lamentele sulla natura piuttosto capricciosa e imprevedibile dell’amministrazione.

Ma queste mie considerazioni emotive non c’entrano con quelle del diritto. Il governo della Libia èindubbiamente legittimo nel senso più freddo, cioè può emettere passaporti riconosciuti in altri paesi, e l’uomo più in vista del paese – che curiosamente non riveste alcun incarico governativo – viene ricevuto con sorrisi e strette di mano da altri capi di stato. Tra cui non solo Silvio Berlusconi, ma anche Obama e Sarkozy.

In particolare, il nostro paese è vincolato al governo della Libia da un “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista” firmato “dall’onorevole Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi e dal leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi”.

Tale trattato garantisce

“il rispetto dell’uguaglianza sovrana degli Stati; l’impegno a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica della controparte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite; l’impegno alla non ingerenza negli affari interni e, nel rispetto dei princìpi della legalità internazionale, a non usare né concedere l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile nei confronti della controparte; l’impegno alla soluzione pacifica delle controversie.”

Un trattato che nel giro di qualche ora, ha fatto la stessa fine che fece nel 1915 il trattato che vincolava l’Italia a non pugnalare alla spalle l’Austria. Per motivi espressi con disarmante sinceritàda Italo Bocchino.

Il legittimo governo libico è stato oggetto di una vasta ribellione armata. Su questa ribellione, si è detto di tutto – “è al-Qaida”, “no, sono i giovani cinguettatori di Twitter”, “no, sono i fedeli della vecchia monarchia”.

Non solo io ignoro chi siano i ribelli; lo ignorano anche tutti gli editorialisti che pure li esaltano. Due ipotesi sembrano comunque abbastanza ragionevoli. Ciò che i ribelli appartengano  ad alcuni clan tradizionali esclusi dalle rendite petrolifere; e che esprimano il fortissimo risentimento di gran parte della popolazione contro l’immigrazione dall’Africa Nera, tanto che la rivolta è stata accompagnata da alcuni sanguinosi massacri di migranti.

La ribellione ha però incontrato, a quanto pare, l’ostilità della maggioranza del paese e certamente delle sue forze armate, e nel giro di alcuni giorni ha subito alcune decisive sconfitte.

Tutto questo è avvenuto in concomitanza con due sommosse nel mondo arabo – quella delloYemen e quella del Bahrein.

In un giorno, i cecchini dell’esercito yemenita hanno ucciso 72 manifestanti (non sappiamo quanto rappresentativi della società yemenita nel suo complesso), mentre nel Bahrein è intervenuto direttamente l’esercito saudita per sopprimere una rivolta promossa dalla schiacciante maggioranza della popolazione. Anche gli Emirati Arabi, che partecipano alla coalizione anti-Gheddafi, hanno contribuito alla repressione della rivolta in Bahrein con “ almeno 500 poliziotti“.

Mentre cadevano le ultime fortezze dei ribelli libici, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1973, che  esige dalla Libia il cessate il fuoco e la fine di “attacchi contro i civili”.

E qui, se ho capito, sta tutto il trucco.

In Libia, lo scontro non è infatti – come invece in Tunisia, Yemen, Bahrein o Egitto – tra le forze armate da una parte, e masse di manifestanti pacifici dall’altra. In Libia, i ribelli hanno armi, carri armati e persino un caccia (che hanno esibito tra l’altro subito dopo l’imposizione della No Fly Zone).

Ma non appartenendo a un esercito regolare, potrebbero essere definiti in effetti dei “civili”. Anche quando vengono addestrati da truppe straniere. Nei lanci di agenzia ripresi da Repubblica, ad esempio, leggiamo stamattina:

“11:49
Stampa Gb: Forze speciali inglesi a fianco dei ribelli da settimane

Centinaia di soldati delle forze speciali britanniche Sas sarebbero in azione da almeno tre settimane in Libia al fianco dei gruppi ribelli, afferma oggi il quotidiano Sunday Mirror. Due unità di forze speciali soprannominate “Smash” per la loro capacità distruttiva, avrebbero dato la caccia ai sistemi di lancio di missili terra aria di Muammar Gheddafi (i Sam 5 di fabbricazione russa) in grado di colpire bersagli attraverso il Mediterraneo con una gittata di quasi 400 chilometri. Affiancate da personale sanitario, ingegneri e segnalatori, le Sas hanno creato posizioni sul terreno in modo da venire in aiuto in caso in cui jet della coalizione fossero stati abbattuti durante i raid.”

La risoluzione dell’ONU evita di citare o definire l’avversario armato dell’esercito libico, e non dice nulla su come l’esercito libico debba comportarsi nei riguardi di combattenti nemici.

L’omissione è talmente evidente, che possiamo immaginare che i suoi autori abbiano voluto una fatale ambiguità.

Se “civile” vuol dire chi non porta armi, allora si potrebbe chiedere all’esercito – e anche alla parte avversa – di lasciare in pace i civili.

Ma se “civile” vuol dire combattente, nemico dell’esercito governativo…

Se l’esercito libico cessa di combattere con le armi questo particolare tipo di “civili”, sarà costretto a subirne passivamente gli attacchi armati; cioè è destinato alla sconfitta militare.

Cosa che nessun esercito potrebbe accettare.

Ma se l’esercito continua a combattere, verrà accusato di violazione della risoluzione. E quindi verrà annientato ugualmente, ma dall’estero.

Non c’è via di uscita.

E così leggiamo tra i lanci di agenzia di Repubblica di stamattina qualcosa che non appare affatto nel testo della risoluzione, ma che sospettiamo fosse nella mente dei suoi autori:

09:03
Il generale Clark: “Tutto lecito per difendere i civili”

“La risoluzione dell’Onu è nettissima riguardo all‘obiettivo finale: sbarazzare la Libia del dittatore Muhammar Gheddafi. Per questo il Consiglio di sicurezza ha autorizzato il ricorso a ogni mezzo, salvo l’occupazione militare del Paese. In breve tutto è lecito, o quasi”.

Lo dice a Repubblica il generale Wesley Clark, ex comandante supremo delle forze Nato durante la guerra del Kosovo.”

Comunque, la risoluzione semplicemente impone il divieto di voli sul territorio libico, impone un embargo sulle armi e congela i beni di alcuni esponenti del governo libico.

Il governo libico dichiara subito di accettare in pieno la risoluzione e chiede l’invio di osservatori, e infatti non ci risultano voli libici, militari o non, dopo la sua approvazione.

Alcune ore dopo l’approvazione, Sarkozy convoca a Parigi un vertice cui partecipa anche Silvio Berlusconi. Il quale, prima di partire, ha promesso a quanto pare al proprio consiglio dei ministri dinon lanciare l’Italia in avventure pericolose, tali da attirare su questo paese centinaia di migliaia di profughi o qualche missile.

Parola d’imprenditore…

Il vertice finisce verso le 15. A questo punto, uno si immagina una delegazione che vada in Libia, spieghi in modo chiaro le richieste, risolva in maniera diplomatica i conflitti, apra le vie agli aiuti umanitari. Dando ovviamente qualche giorno di tempo per permettere a un esercito non certamente prussiano di coordinarsi e di capire cosa deve fare.

No.

Due ore dopo la fine del vertice e poche ore dopo l’approvazione della risoluzione 1973, gli attaccanti dichiarano che la Libia “non ha rispettato” le loro istruzioni: in cosa consista tale violazione, non ci è dato sapere; comunque a partire dalle 17.40, scaricano sulla Libia un intero arsenale.

Tra cui anche 110 missili Tomahawk, prodotti dalla Raytheon Company: ricordiamo che Obama ha nominato ben tre dirigenti della Raytheon a funzioni chiavi dell’amministrazione degli Stati Uniti, tra cui il signor William Lynn, che passa direttamente dalla gestione della lobby ufficiale a Washington della Raytheon, al posto di vicesegretario alla Difesa con il potere di decidere le spese che farà il Pentagono.

Un solo missile Tomahawk costa 1,5 milioni di dollari, comprensive di ammortamento delle spese di ricerca.

Moltiplicato per 110 farebbe 116 milioni di Euro. All’incirca quello che costano allo Stato italiano15.000 alunni del sistema scolastico pubblico per un anno (dati Ocse 2008, citati in Mila Spicola, La scuola s’è rotta. Lettere di una professoressa, Einaudi, p. 172).

Io non so per quale motivo Francia, Inghilterra e Stati Uniti (l’Italia non conta) abbiano deciso di attaccare la Libia. Non so per quale motivo, fino a  qualche mese fa accoglievano Gheddafi con tutto il suo pittoresco seguito e oggi lo vogliono morto.

Il petrolio ovviamente c’entra; ma era necessaria proprio una guerra? Si sarebbe speso infinitamente di meno per corrompere quattro politici, o per pagare il medico di Gheddafi a mettergli il veleno in una bevanda.

Le continue guerre americane, quasi sempre contro nazioni indifese, vengono in genere spiegate con considerazioni geopolitiche: vogliono, ad esempio, il petrolio iracheno o quello libico, prima che cada in mano ai cinesi.

Credo che l’ipotesi sia perfettamente ragionevole, ma non escluda un’altra – cioè che il sistema socio-economico statunitense abbia bisogno delle guerre in sé, perché finanziano il sistema militare-industriale, perché danno un senso alla vita di milioni di persone, dal clandestino messicano che vende panini ai muratori della base militare nel deserto dello Utah, all’insegnante di arabo sovvenzionato dal Pentagono per formare persone che si occupino della “sicurezza nazionale”.

Può darsi che gli Stati Uniti riusciranno a scippare il petrolio libico ai concorrenti; ma sappiamo con certezza che la Raytheon è riuscita a guadagnare 116 milioni di Euro in un pomeriggio con questa storia.

Via | kelebeklerblog.com| Miguel Martinez

Libia/Guerra: Così la comunità internazionale crea Stati figli e figliastri (Da leggere Asslt)

L’Onu ha autorizzato i raid aerei sulla Libia. Francia e Gran Bretagna sono già pronte a far intervenire i loro caccia perché abbattano quelli di Gheddafi che bombardano i rivoltosi libici, e non è escluso che l'Italia metta a disposizione della Nato le sue basi aeree. Non è una dichiarazione di guerra alla Libia, non sia mai, oggi ci si vergogna di fare la guerra e si preferisce chiamarla "operazione di peace keeping" a difesa dei "diritti umani".

Salta definitivamente il principio internazionale di "non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano" insieme al diritto di Autodeterminazione dei popoli sancito a Helsinki nel 1975 e sottoscritto da quasi tutti i Paesi del mondo, compresi quelli che stanno per intervenire in Libia. Qui siamo in una situazione diversa dagli interventi in Iraq nel 1990 e nel 2003 e in Afghanistan nel 2001. Nel primo conflitto del Golfo, l'Iraq aveva aggredito il Kuwait, uno Stato sovrano, sia pur fasullo creato nel 1960, esclusivamente per gli interessi petroliferi degli Stati Uniti. L'intervento quindi era legittimo, anche se il modo con cui fu condotta quella guerra fu bestiale perché gli americani, pur di non affrontare fin da subito, sul terreno, l'imbelle esercito iracheno (che era stato battuto perfino dai curdi, in quel caso Saddam fu salvato dalla Turchia il grande alleato Usa nella regione) e correre il rischio di perdere qualche soldato, bombardarono per tre mesi le principali città irachene facendo 160mila morti civili, fra cui 32.195 bambini (dati del Pentagono).

Nel 2003 c'era il pretesto delle "armi di distruzione di massa". Si scoprì poi che queste armi, che Stati Uniti, Urss e Francia gli avevano fornito, Saddam non le aveva più, ma intanto gli americani hanno ridotto l'Iraq a un loro protettorato dove è in corso una feroce guerra civile fra sciiti e sunniti che provoca decine e a volte centinaia di morti quasi ogni giorno tanto che in Occidente non se ne dà più notizia. In Afghanistan si voleva prendere Bin Laden, ma dopo dieci anni la Nato è ancora lì e occupa quel Paese, avendo provocato, direttamente o indirettamente, 60mila morti civili (e nessun Consiglio di sicurezza si è mai sognato di imporre una "no fly zone" ai caccia americani che, per battere gli insorti, bombardano a tappeto cittadine e villaggi facendo ogni volta decine di vittime civili, come sta facendo Gheddafi in Libia).

La situazione è invece identica all'intervento Nato in Serbia dove, all'interno di uno Stato sovrano, c'era un conflitto fra Belgrado e gli indipendentisti albanesi, foraggiati dagli americani, del Kosovo che della Serbia faceva parte. Noi, che non abbiamo baciato la mano a Gheddafi, che non abbiamo permesso ai suoi cavalli berberi di esibirsi alla caserma Salvo d'Acquisto e al dittatore di volteggiare liberamente per Roma avendo al seguito 500 troie, e che parteggiamo per i rivolto-si di Bengasi, siamo assolutamente contrari a qualsiasi intervento armato in Libia. Per ragioni di principio e perché questi interventi internazionali sono del tutto arbitrari. Dividono gli Stati in figli e figliastri.

Nessuno ha mai proposto una "no fly zone" in Cecenia dove le armate russe di Eltsin e dell' "amico Putin" hanno consumato il più grande genocidio dell'era moderna: 250 mila morti su una popolazione di un milione. Nessuno si sogna di intervenire in Tibet (chi si metterebbe mai, oggi, contro la succulenta Cina?) o in Birmania a favore dei Karen. E così via. In ogni caso bisogna essere consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni. Se l'Italia presterà le proprie basi per l'intervento militare in Libia non potrà poi mettersi a "chiagne" se Gheddafi dovesse bombardare Brindisi, Bari, Sigonella, Aviano o una qualsiasi delle nostre città. Gli abbiamo, di fatto, dichiarato guerra, è legittimato a renderci la pariglia.

Via | Micromega | di Massimo Fini

lunedì, marzo 21, 2011

LIBIA/GUERRA: LA VERGOGNA SENZA FINE DI NOI OCCIDENTE IN GUERRA

Come sapete, uso questo blog anche come spazio dove condividere certi articoli che a mio vedere rispecchiano certe idee tese alla costruzione di un mondo migliore.

Con un tempismo che non lascia àdito a dubbi, ecco in cosa si è tradotto lo “scatto d’orgoglio” che, secondo il nostro Presidente della Cosiddetta Repubblica, avrebbe manifestato l’Italia, nella giornata di marketing per i 150 anni dall’erezione di questo Stato Pietoso: si è tradotto nella cifra genica di questo stesso Paese, cioè la crudeltà, il trasformismo, la furbizia idiota e malvagia, l’entusiastica salita sul carro dei vincitori delle prossime ore. E’ come fosse “firmato Diaz” e invece è “firmato Giorgio Napolitano” questo intervento che lascia attoniti, a poche ore dalla rilettura del celebre quanto inutilissimo articolo costituzionale n°11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Noi, gli assassini che hanno massacrato libici decenni prima di baciare loro anelli e osculi anali, agiamo da Iago perché siamo consapevoli che è il petrolio che conta, e che si prepara il nuovo ordine del Mediterraneo. A cui la Penisola, che ne sarebbe una portaerei in mezzo al, fa proprio questo: porta gli aerei.

Con inusitata fantasia, tutta di marca Ansa, i maggiori quotidiani italiani on line hanno titolato che è “Pioggia di bombe sulla Libia”. Speravo di non leggere mai più, dopo i timori e tremori della mia pubertà condizionata dalla incertezza militare e geopolitica, il nome Cruise, se non negli annali di Scientology. Eppure eccoli di nuovo qui,i missili statunitensi, un centinaio, sempre di marca nordamericana, sempre la stessa solfa paratexana dell’esportazione della democrazia, quando l’evidenza denuncia la consistenza morale degli attori in gioco.

Anzitutto il Premio Nobel Per La Pace Barack Obama, questo eletto dagli svedesi, questa versione angosciante del Sir Bis di Mowgli, questo assassino che avrebbe pure origini africane, questo paladino della speranza che fa un discorso da illuminato al Cairo davanti a Mubarak pochi mesi prima di scaricarlo in quella che solamente gli ingenui entusiasti potevano salutare come “primavera”. Telecomandati da americani e francesi, i vertici militari di Egitto e Tunisi si sono mossi secondo direttiva. E lo spontaneismo, al solito, è stato virato contro la sincera volontà di masse enormi di popolo. Era stato predetto, qui, su Carmilla, grazie all’occhio di lince del compianto Sbancor, che entro la decade si sarebbe passati a una risistemazione geopolitica del Nord Africa e del medio Oriente. Dai sultanati più a est, dove si stanno muovendo rivolte ambiguissime, potrebbe nascere lo Stato-AlQaeda, come annunciava esuberante di colori la cartina Usa citata dallo stesso Sbancor. Mai però si sarebbe immaginato che, ad avallare una simile perversione politica, sarebbe stato questo Presidente che in due anni e mezzo ha già pareggiato il conto con Bush in fatto di sceriffato internazionale. La Cina dovrà andarsi a cercare il petrolio altrove, per il momento: era ora di agire e l’Occidente morente l’ha fatto. E lo ha fatto con una miopia inverosimile, oltre che vergognosa per il sangue che sta spargendo in questi drammatici minuti. E’ miope inseguire il petrolio nel momento in cui si sta per lanciare, come sostituto dello Shuttle, una nuova navetta che va a idrogeno.

La Francia è il secondo attore di questo affaire lurido e stagnante come i depositi di oro nero e cariato che stanno sotto le distese di sabbia libiche. E’ incredibile che, anche grazie all’intervento del filosofo del nulla Bernard-Henri Lévy, si dia appoggio a una unica fazione di una guerra civile di un Paese straniero, lanciando i valori e i missili della Marsigliese. La verità vera e ovvissima è che la Francia, così come la Gran Bretagna e la Germania, ha semplicemente interrato la presenza in quelle che non sono affatto le sue ex colonie africane: sono ancora propriamente le sue colonie. E che bella occasione sfruttare gli Stati Uniti per ampliare l’estensione del proprio dominio! Andare a prendere la Libia, considerata, non si sa perché, “territorio di conquista italiano”, quando da lustri è il contrario di ciò che accadde sotto Mussolini. Quanto contano le quote libiche in Fiat? E in Unicredit? E nella campagna elettorale dell’Ulteriore Nano a capo di una nazione europea? Questa “vittoria diplomatica” è, a nostro modesto parere, una delle macchie più ingiustificabili dai tempi dell’Algeria, per l’Eliseo.

Il terzo attore che brilla per indecenza, come già accennato, siamo noi: gli italiani, questa specie all’avanguardia di Fine Impero, gli spaghettari che condiscono col plasma altrui la loro pasta e le loro pastette. Non vorrei altro scrivere, poiché dispongo di un formidabile dialogo a distanza tra i paladini di quello che, nel 1994, fu battezzato come “il nuovo”, grazie a Tangentopoli, cioè la finta rivoluzione con cui l’Italia iniziò a praticare il piano di rinascita di Gelli: e cioè Bossi e Di Pietro. Saranno sufficienti le dichiarazioni di questi due emeriti paladini della sincerità a risultare più efficaci di qualunque commento:

Ha dichiarato Umerto Bossi:

«Il mondo è pieno di famosi democratici, che sono abilissimi a fare i loro interessi, mentre noi siamo abilissimi a prenderla in quel posto: il maggior coraggio a volte è la cautela. Io penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua. La sinistra sará contenta di quel che succede in Nordafrica perchè per loro conta solo portar qui un sacco di immigrati e dargli il voto. È questo l’unico modo che hanno per vincere le elezioni».

Ha dichiarato Antonio Di Pietro:

«Bossi non ha fatto una dichiarazione ipocrita (“se bombardiamo la Libia ci porteranno via petrolio e gas e arriveranno immigrati a milioni”), ma nel merito fa un errore. Sul piano economico l’errore che fa Bossi è pensare che stando con Gheddafi un domani ci saranno ancora petrolio e gas. Ormai è partita la coalizione, bisogna giá pensare al dopo Gheddafi. Il “domani” e l’approvvigionamento delle materie prime dalla Libia sarà a disposizione di coloro che hanno aiutato la transizione, non di coloro che si sono messi contro. Fare parte della coalizione non crea problemi, semmai il contrario. Ma non deve essere questa – conclude – la ragione per la quale non andiamo in Libia, sarebbe ragione volgare».

Non si tratta qui assolutamente di difendere un furbone vestito come se stesse recitando ilNabucco al teatro di Forlimpopoli. Che Gheddafi sia un criminale è patente dallo scorso secolo. Craxi e Andreotti gli salvarono la vita telefonandogli nel deserto un quarto d’ora prima che gli aerei di Reagan bombardassero la sua tenda da harem. Ciò fu interpretato patriottisticamente, quando era una servile delazione di un atto di killeraggio spietato.
Tuttavia è incredibile che si adducano le ragioni che si sono addotte all’ONU per intervenire in Libia, con la risoluzione-lampo. L’impegno umanitario per garantire la salvezza dei civili andrebbe speso anzitutto in Darfur, e non con le armi.
La risoluzione dell’ONU è per ragione filologica ciò che attende questo vergognoso Occidente che muove guerra costantemente: il ri-scioglimento è la fine delle esistenze comode, dello stile di vita garantitoci a spese della vita altrui. La fine del crimine made in Usa & allies. Non ci si illuda che il crimine sia emendato dalla storia umana. Soltanto, non avrà più questo retrogusto da Stranamore.

Osserviamo con denunciante avvilimento uno dei penultimi sussulti di una civiltà al tramonto, che si crede Sansone e però prima fa morire tutti i filistei e poi continua a non crepare.
Ormai siamo tuttavie alle ultime. Che sia la rivoluzione dell’idrogeno, l’avvento di India e Brasile sul piano militare globale o una catastrofe ambientale poco importa. Ciò che accadrà farà sì che una situazione tragica qual è quella libica oggi si ripeta con altre modalità e altri attori.

Giuseppe Genna
Fonte: www.carmillaonline.com
Link: http://www.carmillaonline.com/archives/2011/03/003839.html

domenica, marzo 20, 2011

Guerra in Liabia: Lega Araba critica l’intervento militare; E’ andato oltre l’obiettivo inziale

Guerra in Libia - bombe ovunque si vuole La Lega Araba ha severamente criticato i raid aerei della coalizione internazionale sulla Libia, visto che sono andati oltre il loro obiettivo. Le critiche arrivano attraverso l’egiziano Amr Moussa, attuale segretario generale.

Infatti la Lega Araba aveva rinforzato in sede ONU la richiesta dei ribelli circa l’imposizione di una “no Fly zone” in Libia per proteggere i civili, ma stando ai resoconti dalle agenzie, le azioni militari guidate dalla Francia rispondono ad obiettivi completamente diversi, visti che hanno causato la morte di civili innocenti.

Il segretario ha poi aggiunto che "Quello che vogliamo è proteggere i civili, non bombardarne altri". "La risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza sulla Libia – ha detto Moussa - afferma il divieto di ogni tipo di "invasione e di occupazione", e ha sottolineato "che la Lega Araba ha chiesto la no fly zone per proteggere i civili. La protezione dei civili non richiede operazioni militari", ha ribadito.

sabato, marzo 19, 2011

Libia/Guerra: Mezzo flop al vertice di Parigi; l’Unione africana non si presenta, ma è GUERRA!

guerra in libia Hilary Clinton et Nicolas Sarkozy samedi sur le perron de l'Elysée guerraHillary Clinton e Nikolas Sarkozy durante il vertice di Parigi | Photo: P. VERDY/AFP

“Quando chi sta in alto parla di pace la gente comune sa che ci sarà la guerra. Quando chi sta in alto maledice la guerra le cartoline precetto sono già compilate.” Così Bertolt Brecht parlando della guerra, il male assoluto che colpisce soprattutto i più deboli a vantaggio dei poteri forti.

L’intervento militare dell’Occidente in Libia è questione di ore, di minuti forse anche di secondi. Tutto è preparato e a considerare la velocità di ogni movimento, si può anche desumere che tutto era già preparato. Parigi ha voluto un vertice per sancire l’ora d’inizio dei bombardamenti, e con molte probabilità del dispiego di uomini in terre libiche, ma per il “piacere” di molti africani ed arabi – contrari ad un intervento del genere -, nessun paese africano si è presentato.

In politica internazionale non esistono coincidenze, per cui questa assenza può essere interpretata come un dissenso della comunità politica africana in relazione all’intervento militare in Libia. Questa assenza è un segnale forte, del quale si denota una certa paura circa la possibilità che la situazione possa sfuggire di mano per via dell’intervento diretto dell’Occidente in una questione che si può risolvere diplomaticamente. Il fallimento dell’intervento potrebbe portare la Libia a diventare una nuova Somalia, uno Stato non Stato in preda ai poteri tribali e le milizie islamiche.

Per giustificare l’assenza della delegazione africana al vertice di Parigi sulla Libia, gli organizzatori hanno riferito che l’Unione Africana si è riunita a Noukachott, capitale della Mauritania, per cercare una soluzione diplomatica. Infatti il presidente sudafricano è stato incaricato ieri insieme ai presidenti di Mauritania, Repubblica democratica del Congo, Mali e Uganda di creare una missione di mediazione dell'Unione Africana per far fronte alla crisi libica. In ogni modo, il Presidente  dell’Unione Africana Jean Ping doveva essere presente al vertice, ma anche lui non si è presentato.

Mentre chiudo questo pezzo, aprendo dalle agenzie che gli attacchi alle forze di Gheddafi potrebbero cominciare appena finito il summit di Parigi. I primi a colpire potrebbero essere francesi, britannici e canadesi, seguiti da statunitensi e arabi, precisano. Come si evince da queste notizie, i paesi africani, nonostante condizionati dalle varie organizzazioni post-coloniali (i francofoni – sotto influenza di Parigi, gli anglofono, sotto l’influenza di Londra) non parteciperanno alle azioni militari contro la Libia.

Karl Kraus diceva che le guerre cominciano perché i diplomatici raccontano bugie ai giornalisti e poi credono a quello che leggono, e questa sembra essere la realtà di questa crisi.

Stiamo a vedere!

Libia/Crisi: L’attacco a Gheddafi, l’esempio somalo e cosovaro!

libia - guerra per il petrolio, l'occidente vuole la sua parte Premesso che chiunque usi la violenza contro civili indifesi debba essere fermato, purtroppo questa non è la realtà libica. Analizzando le informazioni che arrivano dalla Libia si decanta più la propaganda anti-governo che le grosse TV internazionali mandano in onda che informazioni accurate circa lo sviluppo della situazione politico-militare in quel paese. Una prima vittima di questo conflitto è la verità, ed insieme a questa è il giornalismo di guerra.  A me pare che la maggiore parte dei giornalisti li presenti si ostini a non raccontare la verità. Se osservate ogni volta che c’è un collegamento noterete che stanno molto bene: puliti, rilassati e chi più ne ha più ne metta.

Cominciamo dall’inizio.

Giornali e catene televisive hanno parlato di migliaia di persone uccise durante le prime manifestazioni e durante i combattimenti di questi giorni, ma per ironia della manipolazione nessuna immagine per documentare tali affermazioni; hanno parlato di intensi bombardamenti contro le città controllate dai ribelli e spari contro i civili, anche qui nessuna immagine; abbiamo sentito della presenza di migliaia di mercenari, ma anche qui soltanto un filmato eseguito da un ribelle circa la cattura di un presunto mercenario, insomma: ma cosa sta succedendo in Libia?

Abbiamo visto che le manifestazioni sono passate da libere dimostrazioni pacifiche contro il regime di Gheddafi ad un tentativo di colpo di stato. A differenza dell’Egitto e della Tunisia, al terzo giorno di manifestazione i manifestanti erano già armati e non si contenevano, passarono subito all’attacco bruciando tutto quanto appartenesse al Governo. Si dimenticarono che caso prendessero il potere avrebbero bisogno di quelle strutture per potere gestire la popolazione senza dovere aspettare gli aiuti Occidentali.

Non trovo il senso dell’intervento anglo-francese in questo momento. Perdonatemi, non vedo altro che grossi interessi interessi oligarchici sotto ogni movimento e/o decisioni. Petrolio, basi militari, opportunismo. Guerre e morti ci sono in tanti paesi africani, cfr. Congo e Sudan, ma l’ONU non è riuscita a fare niente in tutto questo tempo, guarda caso per la Libia le cose si sono sbloccate in due giorni.

Pur di intervenire, perché bisogna chiudere il cerchio, si interverrà anche contro le truppe di Gheddafi ferme a terra (mi auguro osservando il cessar fuoco imposto dall’ONU). Questo intervento aprirà però la possibilità della prosecuzione della guerra, visto che nel frattempo staranno già riarmando i ribelli. Ricordatevi, se si riprenderanno i combattimenti  è perché l’Occidente lo vuole, lo vuole perché il petrolio di Bengasi è insufficiente. Ma questa possibilità aprirà nel paese una vera e propria guerra civile con conseguenze e risultati completamente imprevisibili. C’è anche il rischio di una “somalizzazione” del conflitto. La Somalia è tuttora uno Stato non Stato, e gran parte delle colpe ricadono all’Occidente.

Il petrolio libico è uno dei migliori al mondo: tutti vogliono controllarlo. Nell’attuale situazione, le oligarchie che premono sui governi ad agire contro Gheddafi si accontenteranno anche della divisione del paese. Si faranno due paesi: la Libia di Ghedaffi e Bengasi – uno stattarello controllato da poteri forti dell’Occidente…

Matrimoni Gay: Il 53 % degli americani favorevoli

Cambiano i tempi, cambia la cultura, e soprattutto cambiano i gusti. Così per la prima volta nella storia degli Stati Uniti la maggioranza degli americani si è espressa a favore dei matrimoni gay. Queste informazioni provengono da un attendibile sondaggio condotto dal Washington Post insieme alla Abc, il cui risultato segna un evidente cambiamento in relazione alle libertà sessuali: il 53% dei cittadini statunitensi pensa che la legge dovrebbe consentire agli omossessuali di potere sposarsi.

Un risultato eclatante, considerando che sei anni fa, nel 2004, era favorevole solo il 32% della popolazione. Va però sottolineato che al momento il matrimonio tra persone dello stesso sesso è già legale in cinque stati: Massachusetts, New Hampshire, Vermont, Iowa, Connecticut e nel District of Columbia.

giovedì, marzo 17, 2011

Buon compleanno Italia!

“Dietro a ogni articolo della nostra Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta”. Pietro Calamandrei