La capitale irakena è terreno in cui si giocano molti conflitti: tra stati, tra servizi di intelligence, tra partiti e gruppi politici irakeni, tra capitani di ventura e multinazionali. Ed e' questa Bagdad che ha inghiottito Simona Pari, Simona Torretta, Ra'ad Ali' Abdul-Aziz e Mahnaz Bassam.
Le due cooperanti italiane lavorano nella ONG "Un ponte per..." e fanno parte di quel gruppo di Ong che, come Intersos in cui lavora uno degli operatori locali sequestrati, portano avanti progetti di monitoraggio e promozione dei diritti della popolazione irachena nonche' di ricostruzione, anche in tempo di guerra, molto spesso finanziati dalle istituzioni pubbliche e privati. La loro organizzazione era stata a suo tempo tra le firmatarie dell'appello contro ogni compromissione tra ONG e governi di guerra. Oltre a fare cooperazione, le operatrici hanno poi trovato il tempo di fare informazione indipendente, raccontando cio' che i giornalisti non sanno o non vogliono raccontare (e qualcuno adesso lo ammette).
Dalla notizia del rapimento appelli, iniziative e commenti vengono diffusi e organizzati dal mondo dell'associazionismo, del pacifismo, dalle comunita' islamiche e dalle donne musulmane. Media e politici istituzionali, invece, approfittano del sequestro per continuare a giustificare l'intervento militare in Iraq: a sentire loro, chi oggi critica la guerra si schiera automaticamente con i sequestratori, anche tra coloro che fino a ieri sostenevano la priorita' del ritiro delle truppe.
Paradossalmente, oggi l'operato dei pacifisti in Iraq viene esaltato senza vergogna anche da chi, come il governo italiano, alle stesse ONG vuole tagliare i fondi.
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